Il racconto dell'operatrice di Caritas-Spes da Mukachevo: a Kharkiv le bombe colpiscono anche i civili, a Kiev ogni ora suonano le sirene. Le truppe russe attaccano appartamenti, ospedali e istituzioni educative
di Maria Chiara
Biagioni
Agensir
La Federazione Russa sta attaccando l’Ucraina in tutte le direzioni, contemporaneamente. La maggior parte degli ucraini ha trascorso la notte negli scantinati e nei rifugi al rumore dei bombardamenti e delle sirene. La situazione cambia molto rapidamente.
«Da Kharkiv arrivano notizie terribili: le bombe colpiscono tutto e tutti, anche i civili, anche donne e bambini. Avevamo organizzato un pullman per far uscire le persone dalla città, soprattutto le famiglie, ma alla fine non si è presentato nessuno. Avevano troppa paura ad uscire». È Mira Milavec, operatrice di Caritas-Spes Ucraina, a fare il punto della situazione al Sir dalla città di Mukachevo. Mentre parla arrivano messaggi da Kiev: «Mi stanno scrivendo dai rifugi. Dicono che è terribile. Ogni ora ci sono sirene e ogni ora devono scendere giù». La cosa più spaventosa è che le truppe russe attaccano non solo le strutture militari, ma anche gli appartamenti, gli ospedali, le istituzioni educative. Secondo i dati della Caritas-Spes, dall’inizio dell’invasione militare russa dell’Ucraina, 2.040 civili sono rimasti feriti, 45 di loro sono bambini, 352 persone sono morte, fra cui 16 bambini. L’Unhcr ha segnalato 100 mila rifugiati in Ucraina e 10 mila ucraini stanno cercando di entrare in aree sicure attraverso i posti di blocco ai confini occidentali. Migliaia di persone non potranno tornare nelle loro case perché bombardate e distrutte dalla guerra. Durante questi giorni di escalation militare, la Missione ha fornito assistenza a più di 2.000 sfollati all’interno dell’Ucraina, per lo più donne e bambini.
Alla ricerca di un rifugio
La mattinata di Caritas-Spes Ucraina inizia con una chat tra i collaboratori per verificare la posizione di ognuno e, soprattutto, se tutti sono ancora in vita. Poi inizia il lavoro. E di lavoro ce n’è tanto, anzi tantissimo. Da Mukachevo, Mira che parla italiano e inglese, riceve e coordina le notizie che arrivano dagli operatori delle Caritas diocesane. È un fiume di solidarietà e generosità vissuta a fianco delle persone in fuga o in difficoltà. Si cercano posti sicuri, si offre rifugio. Le situazioni sono diverse e i bisogni infiniti. Ci sono i bambini da mettere al sicuro e portarli nei “centri estivi” che la Caritas Spes gestisce a ovest del Paese.
A Kiev, per esempio, c’è una donna incinta di 9 mesi e si sta cercando di capire come fare. Qui, nella capitale sotto assedio, sono stati organizzati due centri di accoglienza nel seminterrato del Centro sociale di Kiev e nel Centro “San Luca”, dove la notte pernottano 50 persone. Nella parte inferiore del rifugio le persone vanno durante i bombardamenti e nella parte superiore possono mangiare e riposare. A Kharkiv invece sono due giorni che gli operatori della Caritas-Spes sono dovuti rimanere in un rifugio. Raccolgono informazioni sui bisogni e distribuiscono kit alimentari a coloro che ne fanno richiesta. A Odessa, invece la Caritas Spes fornisce tre rifugi in modo da aiutare più persone possibili.
La gente scappa
Chi può, lascia le città più colpite dagli attacchi russi. Ma anche la fuga è complicata. «Sono soprattutto donne e bambini – racconta Mira -, perché gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono uscire dal Paese e vengono chiamati alle armi. Si vedono così i mariti portare moglie e figli al confine e tornare indietro, a combattere sul fronte. La vita degli sfollati è difficile. Le temperature sono rigide. A volte nevica. La benzina poi è razionata. Si possono fare solo 20 litri e alcuni benzinai sono addirittura chiusi. Mancano cibo, acqua, pannolini. Al confine con la Polonia ci sono file chilometriche di macchine per attraversare la frontiera. Molti quindi preferiscono andare a piedi».
La rete dell’accoglienza
Il racconto sulla vita degli sfollati si fa spesso sulla cartina dell’Ucraina: chi entra in Polonia passa da Leopoli, chi invece si dirige in Slovacchia passa dalla Transcarpazia, dove i rifugiati vengono accolti in parrocchie, centri di accoglienza, dormitori. Solo in questi primi due giorni sono state accolte circa 400 persone. Inoltre, tutte le 13 mense di beneficenza in Transcarpazia sono aperte. A Leopoli la Caritas Spes ha organizzato pasti caldi per le persone in attesa di attraversare il confine con la Polonia a Ravi-Ruska e Shehyni. I centri offrono anche rifugio e punti di residenza temporanei sulla strada per il confine. Solo ieri sono stati distribuiti più di 350 pranzi caldi. Anche a Lutsk, la Caritas-Spes ha allestito un rifugio nel seminterrato della Cattedrale di Pietro e Paolo, raggiungibile da chiunque viva nel centro storico o nelle vicinanze, in quanto è uno dei luoghi più affidabili e sicuri.
La vita procede così, intensa, tra telefonate, mail da inviare, aiuti da coordinare. «Rimangono le storie, le richieste di preghiera, i video dei bombardamenti e i racconti di persone che hanno perso tutto, le case bombardate. Cerchiamo di incoraggiarci. A volte – confida Mira – anch’io ho bisogno di essere sostenuta. Ieri, una suora mi diceva, dobbiamo credere che tutto è per un bene».