La sofferenza e la speranza delle comunità cristiane mediorientali nelle parole del Custode francescano, padre Pierbattista Pizzaballa
di Daniele ROCCHI
Agenzia Sir
Per le comunità cristiane mediorientali questo è un Natale attraversato da ulteriori tensioni e crisi. Alle già note e gravi situazioni politiche, sociali ed economiche che da decenni segnano la vita di questa strategica area del mondo, si aggiungono il conflitto in Siria – Paese dove la presenza cristiana si è pressoché dimezzata -, gli scontri a Gaza, le proteste in Egitto contro la nuova Costituzione di impronta islamista (che preoccupa sia i cristiani, sia i liberali), la recrudescenza di attacchi in Iraq (altra Nazione dove sono rimasti pochi cristiani).
Urgenze politiche, sociali e umanitarie, vissute dai Paesi arabi nel tempo presente, che hanno spinto i capi delle Chiese cattoliche mediorientali a lanciare un appello, agli inizi di dicembre, per chiedere di porre fine ai conflitti e alle violenze che stravolgono la vita dei popoli della regione, ponendo in atto cammini di riconciliazione e di pace che garantiscano a tutti la libertà e la tutela della propria dignità umana. Dai leader religiosi anche un pressante invito affinché i cristiani restino nelle loro terre di origine con una presenza attiva e efficace nelle società arabe. Ne parliamo col Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.
Che Natale è per i cristiani mediorientali? Con quale spirito viverlo?
Natale è una nascita, ma come viverla, come lasciarsi scuotere da essa? Io credo che la risposta sta nell’essere capaci e disposti a ricominciare da capo, a rinascere. Per vedere qualcosa di nuovo dobbiamo essere nuovi anche noi. Non dobbiamo lasciarci prendere dallo sconforto, dall’idea che tutto sia finito, che nulla cambierà. Si tratta di un atteggiamento che ha molte ragioni d’essere, visto ciò che circonda; ma non bisogna fermarsi. Riprendiamo la strada della speranza per essere pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere.
Pietre vive che stanno lasciando i loro Paesi, per cercare un futuro altrove. Forse la speranza per i cristiani non abita più in Medio Oriente?
Di fronte a queste situazioni difficili che i cristiani del Medio Oriente si trovano ad affrontare ci sono due strade: andarsene o restare. Andarsene non è una soluzione, restare non è solo inteso fisicamente perché non c’è alternativa, ma perché vogliamo restare. Rimanere in questa Terra passa attraverso una presa di coscienza e una nuova consapevolezza, è una missione che ci invita a inserirci maggiormente nella realtà. Natale vuol dire appunto rinascere e continuare il cammino con speranza.
Ma come è possibile inserirsi in una realtà sociale in cui si è una minoranza sempre meno ascoltata ed esigua?
Da soli è molto difficile, ma lo sforzo da fare è quello di mettersi in dialogo con tutte le realtà sociali che pure esistono, moderate (non sono tutti fanatici…), e con esse fare fronte comune sui temi della cittadinanza, dei diritti umani, della vita, della tolleranza, della libertà. Unire la nostra voce alla loro e a quella della comunità internazionale, senza esagerare, in quanto un intervento eccessivo di quest’ultima potrebbe essere controproducente. Allearsi con tutte quelle frange serene, positive, libere e moderate delle nostre società è indispensabile. Non abbiamo alternativa.
Di tutta la regione mediorientale la crisi siriana è quella che spaventa di più, anche i cristiani. Ha senso parlare di Natale per la Siria?
Parlare di Natale in Siria, sotto le bombe, è davvero difficile. Ma farlo è un seme di speranza nel futuro. Sotto ogni rovina c’è sempre una rinascita. Allora occorre guardare al futuro almeno come un desiderio da coltivare, come voglia di rinascita. La situazione è complicata: gran parte del Paese, da quello che trapela, sarebbe sotto il controllo dell’opposizione nella quale militano frange dalle più moderate alle più integraliste e anticristiane. Tutto ciò provoca paura nei nostri fedeli. Si stima che la metà abbondante della comunità cristiana si sia spostata sia all’interno, sia all’esterno del Paese. Le festività natalizie vengono vissute all’interno di case, di chiese, in qualche villaggio, non essendoci le giuste condizioni di sicurezza. Ma è importante celebrare il Natale perché significa dire a tutti: «Ecco, noi ci siamo, siamo qui…».
C’è un messaggio particolare che dal Medio Oriente giunge al mondo intero per questo Natale?
Nel Libro delle Consolazioni di Isaia ci sono brani molto belli, tra i quali i canti del servo sofferente. Consolazione e speranza non cancellano la sofferenza e il dolore, ma li rendono innocui, tolgono loro l’ultima parola. Il messaggio per tutti è: la sofferenza e il dolore esistono, ma dobbiamo starvi dentro sapendo che siamo figli di Dio che si è incarnato e che ci dona la forza di vivere questa situazione. Egli ci dona anche la serenità necessaria soprattutto per i giovani e i bambini, perché possano pensare a un futuro diverso. La morte peggiore sarebbe vivere senza speranza credendo che un futuro migliore non è possibile.