Dalla Francia il buon esempio, gli altri Paesi cominciano a muoversi. In Italia, la legge Gadda, in vigore dal settembre 2016, semplifica e incentiva le donazioni degli alimenti invenduti

Sarah NUMICO

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Il Parlamento europeo è d’accordo, ora tocca alla Commissione europea lavorare per definire le norme per tagliare lo spreco alimentare del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030, rimuovere le restrizioni esistenti sulle donazioni di cibo e porre fine alla confusione creata dalle etichette alimentari “da consumarsi preferibilmente entro” e “da consumarsi entro”. È tempo, finalmente, di dire basta alle 88 milioni di tonnellate di cibo che si sprecano ogni anno nell’Ue (1,3 miliardi nel mondo), di cui il 53% nelle famiglie europee. In media, ogni europeo ne getta circa 98 chilogrammi l’anno. I dati su cui si è basata la recente discussione al Parlamento europeo dicono che gli olandesi sono i più spreconi (541) seguiti dai belgi (345), ciprioti (327), estoni (265) polacchi (247) britannici (236) e giù fino ai più virtuosi Romania e Slovenia (76 e 72 chilogrammi). È un danno economico enorme (143 miliardi di euro), un carico gigantesco per la gestione dei rifiuti e un’inutile produzione di Co2. Oltre che uno scandalo rispetto al problema della fame. Se nell’Ue mancano le normative e un parametro univoco di misura, la prassi e la sensibilizzazione sul contrasto allo spreco si stanno diffondendo, attraverso buone pratiche incoraggianti.

L’iniziativa che ha reso la Francia famosa nel settore è la legge del 2016, che impone ai supermercati (con di più di 400 metri quadrati di spazio commerciale) di donare l’invenduto ancora edibile alle associazioni caritatevoli che ne fanno richiesta e sanziona chi si rifiuta o distrugge derrate alimentari edibili. Secondo quanto affermato dal promotore della legge, Arash Derambarsh, ciò ha permesso in un anno di distribuire più di 10 milioni di pasti alle persone in difficoltà e ha visto nascere oltre 5mila nuove associazioni di volontariato che se ne occupano. Tra le buone pratiche francesi troviamo il “Patto nazionale” e la “carta anti-spreco” promossi dall’Associazione nazionale delle industrie alimentari (Ania) per coinvolgere tutti gli attori della catena alimentare in sforzi che vanno dall’ottimizzazione dei processi produttivi e degli imballaggi, alla valorizzazione della “seconda scelta”, fino al dono.

Poi, in Francia, ci sono i ristoranti: alcuni hanno introdotto la “taglia” per le porzioni: si ordina in base alla fame e si paga la porzione a seconda della dimensione, small, medium, large o extra large. Questo ha permesso ad esempio al ristorante “Les arcades” a Lione di risparmiare 12mila euro in un anno. Poi troviamo sei comuni della Franche-conté che hanno avviato dal 2014 nelle mense scolastiche un progetto di controllo, personalizzazione delle porzioni e sensibilizzazione. E poi, ancora, mostre, campagne, iniziative sparse sul territorio…

Dall’esempio della legge francese è nata quella italiana, la legge Gadda in vigore dal settembre 2016, che semplifica e incentiva le donazioni degli alimenti invenduti per il consumo umano e se non possibile per uso zootecnico o energetico. In Polonia un progetto simile è nell’agenda del Parlamento e Greenpeace Polonia ha lanciato ad aprile la campagna #NieMarnujemy, non sprecare.

Con la priorità di contrastare gli sprechi in cucina, in Danimarca è attiva dal 2008 l’iniziativa “Basta sprecare cibo” (Stop Spild af mad), grazie allo slancio di Selina Juul, una giovane danese di origini russe che ha dato vita a questo movimento di consumatori non-profit, che negli anni ha coinvolto oltre 20mila volontari ed è diventata esperienza leader nel settore ampliandosi a tutti i passaggi della catena alimentare, dal campo alla cucina. L’obiettivo è ridurre gli sprechi del 50% entro il 2025 e far diventare la Danimarca il Paese meno sprecone del mondo. Campagne, pressing sui media, libri, organizzazione di dibattiti ed eventi di ogni tipo sono gli strumenti utilizzati per raggiungere i consumatori e convincerli a non sprecare cibo dando alcune regole: comprare solo la quantità necessaria; riutilizzare gli avanzi (e sul sito del movimento c’è un elenco di ricette da preparare con gli avanzi); mettere nel piatto in mensa solo quello che si può mangiare, e se si va al ristorante, chiedere la doggy bag per portare gli avanzi al proprio cane o meglio la goodie bag, la borsa delle “cose buone” per finire a casa gli avanzi della cena al lume di candela. Dati di inizio 2017 dicono che in Danimarca, dal 2010 gli sprechi si sono ridotti del 25%.

In Spagna a contrastare lo spreco c’è la Plataforma Aprofitem els Aliments (Paa), nei Paesi Bassi la Alliantie Verduurzaming Voedsel. In Germania “Taste the waste”, film-documentario di Valentin Thurn del 2011 sugli sprechi alimentari è ora anche una piattaforma multimediale di sensibilizzazione. In Gran Bretagna Wrap (Waste and Resources Action Programme), programma nato per promuovere la gestione sostenibile dei rifiuti, ma riorientatosi nel 2007 con la campagna “Ama il cibo odia lo spreco”.

I dati di gennaio 2017 dicono che Wrap è riuscito a ridurre lo spreco a livello di filiera produttiva, superando l’obiettivo del 3% che si era posto, mentre quello della riduzione dello spreco domestico del 5% entro il 2025 non ha registrato progressi, per «una serie di concomitanze, quali la crescita della popolazione britannica, il calo dei prezzi dei prodotti alimentari e l’aumento dei redditi personali, cose che hanno ridotto la pressione a evitare gli sprechi da parte delle persone». A Uppsala, in Svezia, la giovane Cathy Xiao Chen a gennaio ha lanciato un’app per comprare a prezzi scontati in un sistema di take-away il cibo che i ristoranti e i bar hanno preparato ma non venduto. Non è una novità: il sud del mondo combatte contro fame e siccità, noi al nord, contro gli sprechi.

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