Politica e istituzioni di fronte al compito educativo degli insegnanti

di Alberto CAMPOLEONI
Agenzia Sir

insegnante

Certo che c’è una bella differenza tra la riflessione sul mondo della scuola e degli insegnanti che viene dal Convegno nazionale degli insegnanti di Azione cattolica e quanto è dato di vedere a proposito di politica scolastica e di azione del governo nell’ambito della scuola. Una differenza sostanziale, che colloca da una parte – quella delle riflessioni di Ac sfociate in documento – il compito del docente come missione alta, intrecciata nelle cinque direttive del prendersi cura, della corresponsabilità, della partecipazione, dell’accoglienza e della professionalità e dall’altra una considerazione che si ferma sovente alle sole questioni di spesa.

L’ultimo passaggio in questa direzione è la “bella scoperta” della possibile legge di stabilità che vorrebbe estendere l’orario cattedra, da 18 a 24 ore settimanali nelle secondarie. Detto così sembra poca cosa e per certi versi anche una cosa “dovuta”: già gli insegnanti elementari hanno orario di 24 ore, perché la differenza? E a dirla tutta la questione alimenta il solito trito luogo comune che chi insegna lavora poco: “solo” 18 ore. Salvo scoprire che quanto a ore di insegnamento i docenti italiani hanno un carico superiore alla media europea.

In realtà la questione è ben differente e passa anzitutto dal considerare il lavoro dei docenti – e in particolare il lavoro in classe, con gli allievi, perché poi si presume che ci sia anche altro: preparazione, riunioni, formazione in servizio e chi più ne ha più ne metta – come particolarmente prezioso, professionale e anche usurante, al punto che proprio gli insegnanti sono tra le categorie più esposte al burn out. La questione non è sulle ore in più o in meno, ma anzitutto sul considerare l’allungamento di orario – senza corrispettivo economico – solo come escamotage per una riduzione di spesa, risparmio sulle supplenze e via di questo passo. È evidente la differenza richiamata all’inizio tra una prospettiva alta e una ordinaria amministrazione di corto respiro. Verrebbe da dire offensiva, se ancora la scuola avesse la capacità e la possibilità di offendersi, abituata ormai com’è da tanto ad essere considerata una Cenerentola in un Paese che a parole declama l’attenzione alla cultura, ai giovani, al futuro e nei fatti continua invece a deprivare il sistema scolastico invece di investire.

In questa realtà sconsolante, ben nota a chi si occupa di scuola, tornare a ragionare di professionalità docente nella sua complessità e anche nella sua dimensione valoriale – poiché questo è in gioco in una professione che si cura della persona – è una boccata d’ossigeno. Riproporre la dimensione della responsabilità, della passione educativa nella professione docente, della capacità di intessere e promuovere relazioni “di vita buona” – come ancora suggeriscono il convegno e il documento dell’Azione cattolica – vuol dire riproporre una visione di scuola che non solo prepara al futuro, ma che ha futuro, perché capace di dare senso e significato al lavoro di uomini e donne e allo stare insieme tra le persone. Questa è la scuola che merita il nostro Paese, che meritano i nostri figli, che meritiamo noi tutti insieme, riscoprendo legami, senso di appartenenza e tensione comune. Con entusiasmo.

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