Presso Casa Bpm l’Arcivescovo ha partecipato a un affollato dibattito in occasione della presentazione del nuovo libro del ministro degli Interni Angelino Alfano: «Occorre maggiore conoscenza dei fenomeni in atto», ha detto il Cardinale
di Annamaria BRACCINI
A un mese dagli attentati di Parigi, a Milano si parla di paura e terrorismo, nella Sala delle Colonne della Bpm, attraverso voci di qualificato livello. La presentazione del volume del ministro degli Interni Angelino Alfano Chi ha paura non è libero. La nostra guerra contro il terrore, alla presenza del cardinale Scola, diviene occasione per affrontare uno dei temi cardine del rapporto tra l’Europa delle libertà e l’Islam – o, meglio, gli Islam – del fondamentalismo.
Aprono l’affollato incontro Angelo Piero Giarda, presidente del Consiglio di sorveglianza del Gruppo bancario, e Paolo Ferrarese, vicepresidente dell’Associazione “Impegno e libertà” (fondata dopo la strage a Charlie Hebdo), che promuove l’iniziativa. Di fronte a diversi parlamentari, autorità civili e militari, rappresentanti del mondo imprenditoriale e politico cittadino, al Prefetto e al Questore di Milano, modera il dibattito il direttore del Corriere della sera Luciano Fontana, che chiede subito all’Arcivescovo se «avere paura ci aiuta forse a ragionare meglio».
«Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, quanto un cambiamento d’epoca, come ha giustamente detto papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze. In questo contesto, esiste in Europa ancora poca conoscenza del fenomeno musulmano – osserva Scola, richiamando la fondazione, quindici anni fa, di Oasis, nata appunto per confrontarsi meglio tra le due sponde del Mediterraneo -. Permane ancora una forte resistenza del mondo occidentale a conoscere l’Islam: basti pensare che dal Medio all’Estremo Oriente, la rivista Oasis diffonde circa cinquemila copie, mentre in Occidente si arriva a duecento abbonamenti scarsi. Abbiamo ignorato colpevolmente questo fenomeno. In questo senso – aggiunge -, per la modalità dettagliata con la quale affronta il problema, la ricostruzione di Alfano è molto preziosa, come si nota nel paragrafo importantissimo dedicato alla donna e in quello nel quale si chiede di aiutare chi prega a responsabilizzarsi».
Poi, il pensiero torna alla propria esperienza personale: «Dopo quindici anni in cui mi sono occupato con un’équipe di tali questioni, continuo a pensare che è illusorio tracciare una linea di demarcazione netta tra “noi” e “loro”. D’altra parte, questa opposizione radicale è proprio l’obiettivo che si prefiggono i terroristi del jihadismo, in un momento in cui questo, avendo probabilmente raggiunto il limite della sua espansione territoriale in Iraq e Siria, si vede costretto ad aprire nuovi fronti di guerra in Occidente. Di questo ci avevano avvertito i nostri fratelli cristiani, in Siria e in Libano, ma non sono stati ascoltati e, infatti, continuano a ribadire la loro condizione di solitudine, come ho potuto toccare con mano visitando il campo profughi di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Il nostro problema è che siamo riduttivi, non caliamo i fenomeni nella complessità del presente, tanto che definiamo i cristiani in Medio Oriente una “minoranza”, dimenticando che abitano quelle terre da duemila anni».
Semmai, suggerisce il Cardinale, occorre interrogarsi sul contrasto che oppone sunniti e sciiti o – come ha fatto il cardinale Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, all’indomani degli attentati del 13 novembre – sui foreign fighters, «ragazzi nati qui, che hanno studiato e iniziato a lavorare nei nostri Paesi e che non hanno trovato nulla per dare un senso alla loro vita. Per questo è profondamente vera la preghiera composta dai monaci di Tibhirine quando il terrorismo islamista aveva iniziato a infierire in Algeria: “Disarmali, Signore”. Ma dobbiamo aggiungere anche: “Disarmaci, Signore”, perché non imitiamo la loro logica perversa».
Si deve, insomma, riprendere il dialogo, sia perché il rapporto tra Europa e Islam esiste da oltre un millennio, sia perché è innegabile che esso sia stato interrotto «quando, da parte occidentale, si è abbandonata una prospettiva autenticamente culturale a favore di un puro calcolo economico utilitarista e quando, all’interno dell’Islam, ha prevalso una visione letteralista e nemica di ogni pluralismo, che oggi dispone di mezzi finanziari enormi e predica la totale estraneità tra “dimora dell’Islam” e “dimora della guerra”». Da qui una proposta dell’Arcivescovo, avanzata nella consapevolezza che un intervento militare, da solo, non potrà mai bastare di fronte a un fenomeno che durerà anni o, addirittura, decenni: «Il problema è prima di tutto culturale. Per questo l’Unione Europea farebbe bene a promuovere, nelle principali Università del mondo arabo, cattedre di studi europei, di relazioni euro-islamiche e anche di cristianesimo, laddove è ancora possibile, come in Giordania». E se queste sono alcune possibilità, la prospettiva più corretta in cui inserirle è quella indicata dal Papa: «Guardare con gli occhi degli esclusi, partendo “dalle periferie del mondo”, permetterebbe di trovare un rinnovato slancio per l’Europa, con il coraggio di edificare un nuovo ordine mondiale, sapendo che i confini cambiano e ci cambiano e che non è mai solo un fatto di carte geografiche».
Poi, l’intervento di Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, che spiega: «Mancavano un coordinamento giudiziario e una serie di normative che fronteggiassero le novità. Tutto questo è stato fatto quest’anno. Ricordiamoci che la radicalizzazione è frutto della strumentalizzazione di gruppi che hanno come unico scopo la presa del potere e la supremazia politica. Infatti, l’Isis è uno “Stato-mafia” che si autofinanzia con il contrabbando di petrolio e di opere d’arte e mediante il traffico di droga. A fronte di una tale e grande organizzazione di criminalità organizzata, la risposta vera non può che essere politica. Occorre coordinamento a livello europeo nella prevenzione del radicalismo e l’Italia, in questo, è leader proprio perché abbiamo ormai la cultura della lotta alle mafie, un ruolo che ci viene riconosciuto. Il cardinale Scola ha ragione quando parla di incrementare l’istruzione e l’inclusione sociale: il dialogo è fondamentale anche per noi, oltre il contrasto giudiziario e investigativo».
«La vera minaccia non è l’Islam, ma l’odio generato dall’ignoranza, contro il progresso e il bello della vita – sottolinea, dal suo punto di osservazione privilegiato, Dimitris Avramopoulos, commissario europeo con delega a Immigrazione e Affari interni -. Ma questo odio nasce anche dal fatto che in Europa abbiamo fallito il processo di integrazione e ora ciò sta mettendo in discussione non solo la convivenza, ma il nostro stesso diritto di esistere. Eppure, è proprio questa forza dell’odio che deve spingerci a combattere per i nostri valori liberali, senza soccombere al timore. La paura è la chiusura delle frontiere, una democrazia compromessa, il razzismo e la xenofobia. È, in una parola, rinunciare al nostro progetto europeo, al Trattato di Schengen, chiudendoci nei nostri Paesi».
Infine interviene il ministro Alfano, che con passione scandisce: «Non possiamo che vincere e questo è l’ottimismo della volontà, ma c’è anche l’ottimismo della ragione, davanti al terrorismo attuale che è la più grande minaccia dalla seconda guerra mondiale. Vinceremo perché questa sfida è stata lanciata dalla megalomane follia di un uomo solo che ha deciso di essere califfo, di tornare indietro nella storia. Non può prevalere chi ritiene di chiamare a battaglia migliaia di europei che credono di uccidere nel nome di Dio e anche per questo ho voluto inserire, al termine del volume, oltre 25 pagine di glossario per orientarci a comprendere il fenomeno jihadista. È una guerra insensata, una barbarie che tiene in ostaggio non solo uomini e donne, ma persino Dio. Nel 2015 abbiamo controllato oltre 56 mila persone, perquisito 8 mila veicoli, controllato 160 navi, espulso oltre 60 soggetti. Sì, bisogna separare chi prega da chi spara, ma se anche se si è Imam e si predica l’odio si deve comunque poter essere cacciati. Sarebbe stupido immaginare un milione e 600 mila musulmani tutti conniventi o fiancheggiatori del califfo, ma al tempo stesso dobbiamo riconoscere alcuni errori commessi dall’Europa, come un dialogo senza identità che non porta a nulla. Se non so chi sono fino in fondo, non posso confrontarmi: per questo un grande errore dell’Europa è stato non far valere, nei trattati istitutivi dell’Unione, la propria identità greco-giudaico-cristiana. Eppure segni molto positivi ci sono, come l’istituzione di un Corpo di guardia di frontiere europeo o l’adottare il Passenger Name Record (il Registro dei Nomi Passeggeri) nell’intera Ue».