La Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo sulla vicenda del bambino livornese aggredito perché ebreo: «Il fenomeno è in crescita, più diffuso, visibile e “normalizzato”»
Agensir
«La vicenda del bambino aggredito a Livorno mostra come ci sia un’ostilità sommersa che riemerge nella rabbia dei giovanissimi, che hanno assorbito l’insegnamento del disprezzo della cultura corrente». Sulla Giornata della Memoria irrompe la gravissima vicenda del bambino di 12 anni insultato, preso a calci e colpito da sputi perché ebreo da due ragazzine di 15 anni in un parco di Campiglia Marittima (Livorno). «Devi bruciare nei forni», gli hanno detto e poi lo hanno aggredito.
Cammino in salita
Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio, parte da qui. «L’antisemitismo oggi in Italia è in crescita, ma il problema non è tanto quantitativo quanto il fatto che il fenomeno sia più diffuso, visibile e normalizzato. Si nasconde soprattutto dietro la distorsione dell’Olocausto. Tutte quelle manifestazioni di disprezzo e derisione come pure quei fenomeni di minimizzazione che abbiamo visto nelle proteste dei no vax, nascondono un chiaro archetipo di stampo antisemita».
Da quando nel 2020, il governo ha istituito questo ufficio, sono stati avviati e realizzati progetti a tutto campo per «promuovere e potenziare le attività di prevenzione e lotta contro l’antisemitismo». Ma il cammino – come dimostra la vicenda di Campiglia Marittima – è purtroppo ancora tutto in salita. «Siamo impegnati ad agire in questi ambienti mostrando come i pregiudizi che riteniamo normali e inoffensivi, creino questo odio».
Professoressa, cosa spinge questo accanimento ancora oggi e nei giovanissimi contro gli ebrei e in particolare l’Olocausto?
Ci sono tanti fattori. C’è il tempo che passa, le nuove generazioni che dimenticano. C’è anche una rimozione del senso di colpa e della responsabilità collettiva. C’è la tendenza a semplificare le situazioni e la ricerca di un capro espiatorio per i nostri problemi. L’antisemitismo viaggia non soltanto nella gente comune. Ci sono gruppi, anche politici, che orientano questo odio. Come durante il nazismo, c’erano una crisi economica e un forte disagio e bisognava cercare un responsabile per sviare l’attenzione della gente, così anche oggi, in qualche modo, abbiamo bisogno di qualcuno da additare come colpevole per togliere le responsabilità. È un processo rischiosissimo perché va a colpire le fondamenta stessa dell’edificio dei diritti che abbiamo costruito a fatica e a prezzo di tante vite umane dopo la Seconda Guerra mondiale.
Ha inciso la pandemia?
Certo, per l’isolamento, per la paura e l’ansia verso il futuro. Ma c’è anche l’uso sempre più pervasivo dell’online in cui alla fine gli insulti antisemiti vanno sempre a finire. «Sono pochi ma è una lobby di potenti»; «dominano il mondo». L’antisemitismo poi è tutto e il contrario di tutto per cui «gli ebrei hanno prodotto il virus e lo hanno diffuso»; o ancora, «c’è il virus ma loro non se lo prendono»; oppure «c’è il virus ma loro guadagnano sui vaccini». Tutte cose contraddittorie, ma l’antisemitismo è proprio questo: è illogico.
Come si combatte?
Abbiamo pubblicato la settimana scorsa sul sito del governo – noantisemitismo.governo.it – la Strategia Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Nel documento è possibile trovare tutte le indicazioni alle istituzioni, alla scuola, al mondo dello sport, alla politica e al governo. Alcune di queste indicazioni sono già state attuate come le Linee guida contro l’antisemitismo nella scuola e la campagna di Google. È la prima volta che l’Italia si è data una strategia. Chiama tutti a fare la propria parte. Questa battaglia la si può vincere solo insieme e lavorando a più livelli.
Si rivolga ai giovani. Che cosa vorrebbe dire ai ragazzi?
Voglio ricordare ai giovani che sono cresciuti in una Europa libera. Pensano che l’antisemitismo non sia un problema, che non può più accadere, Non si sentono antisemiti. In realtà quando coltivano pregiudizi, stereotipi, disprezzo e derisione, in realtà stanno facilitando quei processi che portarono alla Shoah. È l’antisemitismo light, fatto di stereotipi come «il potere finanziario è nelle loro mani», «ci sono sempre loro dietro», «devi bruciare nei forni», oppure la foto di Anna Frank sulla maglietta della squadra avversaria. Ecco, queste cose ai ragazzi sembrano innocue ma non lo sono affatto. Sono il motivo per cui la gente per bene prese le distanze emotivamente ed emotivamente dalla sorte degli ebrei.
Insomma, con la memoria storica non si gioca…
Sì, perché quando ci tieni a dei valori e qui ci sono in ballo i valori dell’uguaglianza, del diritto alla vita, la non discriminazione, bisogna fare sul serio.