Tra loro circa la metà sono afghani. La Comunità ha proposto di riattivare i corridoi umanitari
di Luisa
BOVE
La Comunità di Sant’Egidio ha proposto di riattivare i corridoi umanitari per l’Afghanistan vista per la situazione di emergenza che la popolazione sta vivendo in questi giorni, forte dell’esperienza positiva. Dal 2015 a oggi infatti l’organizzazione ha già messo in salvo 3700 persone che ora si trovano in Europa, tra cui un centinaio di afghani provenienti dal campo profughi di Lesbo. «Io ero lì nei giorni in cui i talebani avanzavano fino a Kabul – racconta Stefano Pasta di Sant’Egidio -, le famiglie ricevevano notizie, foto e video pesantissimi da vedere (anche per me) di parenti e vicini di casa trucidati, per lo stesso motivo per cui loro stessi erano scappati».
Tra luglio e agosto 250 volontari provenienti da diversi Paesi europei erano a Lesbo e si alternavano per svolgere attività di solidarietà all’interno del campo profughi più grande d’Europa. «Noi eravamo 12 milanesi e ora altri volontari diSsant’Egidio sono impegnati anche a Lipa, nel campo profughi in Bosnia che si trova sulla rotta balcanica dove la maggior parte delle persone presenti sono afghani, seguono siriani e somali».
L’impegno della Comunità è anche molto concreto sul fronte dell’ospitalità. «Il 17 maggio scorso abbiamo accolto a Milano una famiglia afghana di minoranza hazara, giunta da Lesmo attraverso un progetto di accoglienza dei corridoi umanitari», continua Pasta, che si è recato all’aeroporto di Fiumicino e insieme hanno preso un treno fino alla Stazione Centrale. La famiglia, che abitava nella zona di Parwan, vicino a Kabul, è composta da una madre vedova, un figlio di 24 anni e due ragazze. La più grande studiava all’università di Kabul Lingue e letteratura spagnola, mentre la più piccola, che durante la permanenza a Lesmo ha rivelato una vena artistica, a settembre inizierà a frequentare un liceo artistico a Milano.
«Nel campo profughi hanno subito mental stress come continuavano a ripetermi quando sono andato ad accoglierli all’aeroporto di Fiumicino e li ho accompagnati a Milano. Ripetevano la fatica della situazione di Lesbo che è pesantissima». A maggio hanno fatto la quarantena, poi tra giugno e agosto, in questi tre mesi hanno iniziato a rifiorire, a ripartire, hanno già frequentato corsi di italiano e di teatro per favorire l’apprendimento della lingua. Questa settimana sono in vacanza a Lucca presso amici che ci hanno contattato offrendo la loro disponibilità. Ora speriamo davvero di riuscire a compiere un bel percorso con loro tra lo studio delle ragazze e il lavoro per il più grande.
«In questi giorni – continua Pasta – continuano a ricevere notizie da parenti e amici che sono in Afghanistan, in particolare le ragazze hanno amiche hazara che scrivono messaggi di terrore e noi con molta oculatezza abbiamo fatto segnalazioni di persone in pericolo all’Unità di crisi». La Comunità di Sant’Egidio a livello nazionale è impegnata, insieme ad altre realtà, nell’accoglienza a Fiumicino degli afgani che giungono da Kabul in situazioni di particolare fragilità. «Nei giorni scorsi per esempio ho segnalato la condizione di una famiglia composta unicamente di figure femminili, perché quelle maschili sono state ammazzate o sono dovute scappare perché avevano collaborato con il governo precedente».
Quello che preoccupa molto la Comunità di Sant’Egidio sono anche gli afghani bloccati dall’Europa. Solo sull’isola di Lesbo ci sono 4200 profughi, di cui il 45% afgani, quasi la metà minorenni, che vivono in situazioni gravissime e alcuni tentano il suicidio. «Occorre rispondere agli afgani fuggiti dalle regioni occupate dai talebani e che rimangono bloccati anche 3 o 4 anni nel campo profughi perché l’Unione europea nel 2016 ha firmato un accordo con la Turchia (rinnovato nel 2021) per evitare l’arrivo di altri profughi. A Lesbo molti afgani hanno chiesto protezione internazionale, ma è stata respinta. Migliaia di afghani sono bloccati e vivono una situazione drammatica».
«Chi arrivato in Italia e fa domanda di asilo politico – assicura Pasta – generalmente lo ottiene, altri Paesi invece non lo concedono, penso alla Germania che ne respinge la metà. Ora chiediamo di rivedere le situazioni degli afgani bloccati nei campi greci, in particolare a Lesbo, e di sospendere i respingimenti e i rimpatri. È assurdo che mentre si parla di evacuazioni, ci siano diversi Paesi europei che continuano a sostenere la liceità dei rimpatri. Eppure lo scenario in Afghanistan è cambiato, anche se va detto che l’avanzata dei talebani non è iniziata il 12 agosto, ma da alcuni mesi, se non da anni».