Con l’imbarbarimento del dibattito pubblico sono cresciuti anche i rischi e le insidie legate all’utilizzo di Internet e dei social network

di Alessandro ROSINA
Demografo Università Cattolica, coordinatore Rapporto Giovani - Istituto Toniolo

Alessandro Rosina

Il web sta diventando sempre più importante, oramai quasi imprescindibile, come strumento per informarsi, confrontarsi, accedere a servizi amministrativi, condividere idee ed esperienze, creare progetti comuni. Negli ultimi anni è cresciuta notevolmente anche la presenza degli anziani in rete, usata come mezzo per interagire con le famiglie dei figli, come contesto di relazione sociale, come fonte di informazioni. Una presenza quindi sempre più trasversale nei vari gruppi demografici, con i giovani che rimangono comunque i maggiori fruitori, in particolare dei social network.

Gli attuali under 35 fanno parte della generazione dei «nativi digitali», sono cioè i primi a essere cresciuti con l’idea di essere costantemente in contatto dal basso con tutto il mondo. Considerano internet uno strumento irrinunciabile, quasi come l’acqua per un pesce. Come però non ci si avventura in mare aperto senza essersi ben attrezzati, così è bene non navigare sul web in modo sprovveduto. Il tema dei rischi e delle insidie è cresciuto ancor più nel tempo con l’imbarbarimento del dibattito pubblico, la perdita di autorevolezza dell’informazione tradizionale, l’indebolimento delle istituzioni, la rapidità dei cambiamenti, la crescita della frustrazione come conseguenza delle difficoltà economiche. Più che capire la realtà si tende sempre di più a chiudersi in difesa, aggrappandosi a supposte sicurezze. Si è portati a rafforzare le proprie tesi precostituite, anche attraverso notizie infondate.

Il problema delle «bufale» diffuse in rete – che sta suscitando grande attenzione pubblica all’interno del più ampio dibattito sulla post-verità – rientra in un sistema di trappole e insidie molto complesso e delicato da trattare e da gestire. Uno degli aspetti più deleteri è il cosiddetto hate speech, ovvero l’uso di un linguaggio denigratorio, violento che istiga all’odio verso alcune categorie sociali o specifiche persone. Secondo i dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, raccolti tramite una indagine condotta in collaborazione con il progetto «Parole O_Stili», solo il 30,1% degli intervistati non si è mai imbattuto in rete nell’uso di un linguaggio di questo tipo.

La grande maggioranza (89,4%) ha una opinione negativa dell’hate speech. Non è però chiaro come reagire. Ancor meno lo è quando ci si trova di fronte a un troll, nome dato alle persone che, spesso sotto identità false, inviano messaggi provocatori, irritanti, falsi fuori tema, al solo scopo di disturbare e creare reazioni forti. Anche rispetto a questo aspetto la consapevolezza dei giovani è elevata, ma rimane poco chiaro quale atteggiamento tenere. Tutto questo richiama la necessità di sviluppare codici di comportamento dal basso che, senza limitare la libertà di espressione in rete, consentano di disinnescare tali pratiche negative e contenerne gli effetti sociali corrosivi.

 

Ti potrebbero interessare anche: