Il progetto Presidio condotto nelle campagne di dieci diocesi italiane svela che questa piaga nel settore agricolo va oltre le stime ufficiali
«In un anno, in solo dieci diocesi, abbiamo incontrato duemila lavoratori stranieri sfruttati nelle campagne; ma possiamo stimare che il fenomeno coinvolga almeno qualche decina di migliaia di persone nel nostro Paese. L’opinione pubblica si deve rendere conto che la speculazione che si fa sulla pelle di queste persone consente al consumatore di avere a un prezzo abbordabile primizie come l’anguria di Nardò o il pomodoro di Pachino. Se si vuole risolvere il problema, bisogna risalire la lunga catena delle responsabilità, che parte dei datori di lavoro e arriva alla grande distribuzione, ma anche agire sui lavoratori, perché non si svendano a chi li strutta»: l’ha detto questa mattina a Expo Oliviero Forti di Caritas Italiana, presentando il progetto Presidio, un’indagine condotta sul campo in 10 Caritas italiane: Acerenza, Caserta, Foggia, Melfi – Rapolla – Venosa, Nardò – Gallipoli, Oppido M. – Palmi, Ragusa, Saluzzo, Teggiano – Policastro, Trani – Barletta – Bisceglie.
La ricerca è stata presentata oggi durante il convegno “Cibo, terra, lavoro: i migranti economici nell’area del Mediterraneo”, in cui sono intervenuti David Mancini, procuratore distrettuale Antimafia dell’Aquila, don Raffaele Sarno, direttore della Caritas Diocesana di Trani–Barletta-Bisceglie, e Manuela De Marco, del progetto Presidio.
In Italia, secondo le fonti ufficiali, sarebbero 5.400 le vittime di sfruttamento lavorativo. La ricerca promossa da Caritas Italiana consente di dire che il dato ufficiale è largamente sottostimato. Dall’estate scorsa a oggi, gli operatori delle Caritas a bordo dei camper e dei pulmini nelle dieci diocesi in cui è attivo il progetto Presidio hanno incontrato duemila lavoratori (1277 solo nell’ultimo semestre del 2014) e la stagione della raccolta in molte regioni non è ancora cominciata. «Il fenomeno è sommerso perché il lavoratore è sotto ricatto – ha spiegato Manuela De Marco, responsabile della ricerca -. Le forme sono molte. Il caporale offre a volte un servizio, dal trasporto al cibo, e si fa pagare per questo; a volte decide per conto del lavoratore chi far lavorare e per quante giornate».
Secondo l’indagine il 72% dei lavoratori censiti ha contratto un debito, sintomo di sfruttamento. Due su tre vivono in baracche, in casolari fatiscenti o addirittura all’aperto, senza ripari. Sono tenuti sotto scacco. La paga è in media di 25 euro, ma si sta abbassando a causa della concorrenza degli stranieri comunitari, romeni e bulgari, che possono andare e venire dai loro Paesi senza permesso di soggiorno, e non sono dunque costretti a trovare un alloggio stabile.
«L’Africa è il principale serbatoio di questa manodopera – ha sottolineato De Marco -. I principali Paesi di provenienza sono Burkina Faso, Mali, Gambia e Ghana, che questi lavoratori sono stati costretti ad abbandonare perché i terreni si sono inariditi a causa dei cambiamenti climatici, o perché scacciati dalle politiche di acquisto delle grandi aziende multinazionali sostenute spesso dai governi locali».
«In questo Paese sono necessarie politiche anti-tratta e anti-sfruttamento, che non esistono. Il progetto Presidio fa da pungolo nei confronti delle istituzioni e della società civile affinché si attivino. Attraverso il contrasto al lavoro sfruttato passa ogni sfida del nostro Paese», ha detto il procuratore antimafia Mancini.
Dal progetto Presidio sono nate anche alcune iniziative di riscatto. Un esempio è quello promosso dalla Diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, dove la Caritas offre in ambito agricolo una possibilità di impiego agli ex-detenuti delle carceri di Trani e Bari. «Il problema per noi è la reperibilità dei terreni: siamo arrivati a 5 ettari, ma stiamo cercando di arrivare a 27: la nostra grande speranza sarebbe di riuscire a controllare tutta la filiera agricola».