Come ha detto il presidente Mattarella, ricordare significa non rassegnarsi mai: il Paese vuole abbattere il muro di gomma innalzato in queste tragiche vicende, nelle quali la ricerca della Giustizia si scontra con l’interesse di Stato
di Mauro
UNGARO
Presidente della Fisc
Il 27 giugno ricorreranno 480 mesi (40 anni) dalla strage di Ustica. Il 25 giugno sono trascorsi 53 mesi dal giorno in cui Giulio Regeni è stato rapito in Egitto.
Due anniversari accomunati dalla volontà di un Paese intero di esercitare il proprio diritto a conoscere la Verità e abbattere il muro di gomma innalzato in queste tragiche vicende.
Abbiamo il diritto di scoprire perché e chi abbia deciso di abbattere sul cielo del Mar Tirreno in quei primi giorni dell’estate 1980 il Douglas DC dell’Itavia con i suoi 81 passeggeri a bordo; abbiamo il diritto di apprendere perché e chi abbia stabilito che il giovane ricercatore di Fiumicello nel gennaio 2016 potesse essere fermato, torturato e ucciso.
In entrambi i casi la ricerca della Giustizia si scontra con l’interesse di Stato: quell’interesse che troppo spesso porta a esprimere a parole una solidarietà di facciata a uso elettorale, mentre confida che il trascorrere del tempo attenui la volontà di sapere e faccia dimenticare all’opinione pubblica volti e nomi di chi è stato vittima della violenza altrui.
Salvo rare e lodevoli eccezioni, chi si faceva paladino della caccia al colpevole, denunciando a gran voce i silenzi e le connivenze del Governo di turno, quando è entrato, a propria volta, nei palazzi del potere non ha esitato a modificare la propria scala di valori: a quel punto gli investimenti delle industrie nazionali, gli accordi internazionali, i traffici commerciali, i flussi turistici… sono risultati più importanti di una o 81 vite. Dinanzi ai silenzi, agli insabbiamenti e ai depistaggi, il rischio è quello della rassegnazione.
Cinque anni fa, commemorando l’uccisione di Moro, il presidente della Repubblica Mattarella sottolineava che «ricordare significa anche non rassegnarsi mai nella ricerca della verità». E nel 2017, proprio in occasione dell’anniversario della strage di Ustica, ammoniva che «il bisogno di verità non può fermarsi dove sono presenti ancora zone d’ombra e pone traguardi verso i quali tendere».
Parole che risuonano come un monito prima di tutto alla classe politica, ma anche a ciascuno di noi perché la morte di Giulio, di Diodato (che in quella sera di giugno aveva da poco compiuto 8 mesi), di Maria, di Francesco, di Salvatore, di Marianna… non rimanga un buco nero nella storia della Repubblica e di ciascuno di noi e quanto è accaduto non abbia a ripetersi.
(Originariamente pubblicato su “La voce isontina”)