Firmata al Viminale un’Intesa che permetterà loro l’ingresso legale e in sicurezza. A siglarlo, insieme ai Ministri dell’Interno e degli Esteri, Cei, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche, Tavola Valdese, Arci, Inmp e Unhcr
di Maria Chiara
BIAGIONI
Agensir
È stato firmato ieri al Viminale il Protocollo di intesa che permetterà – grazie a un accordo con il Ministero dell’Interno e il Ministero degli Esteri – l’ingresso legale e in sicurezza di 1.200 cittadini afghani in evidente bisogno di protezione internazionale nell’arco di due anni, con la possibilità di estendere la durata a 36 mesi. A siglarlo, insieme ai due Ministeri, sono stati la Conferenza episcopale italiana, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche, la Tavola valdese, Arci, Inmp e Unhcr. Secondo quanto ha fatto sapere il prefetto Michele Di Bari, Capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, la Cei si farà carico di 300 migranti, la Comunità di Sant’Egidio di 200, la Tavola valdese e la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia di 200 e l’Arci di 100, mentre 400 saranno a carico del Ministero dell’Interno, che gestirà anche il trasporto aereo. «Si tratta di un grande sforzo umanitario», ha detto Di Bari, auspicando che il progetto possa presto «allargarsi» e estendersi fino a 2.000 rifugiati.
Il progetto
Il progetto – fa sapere la Cei in una nota – verrà sviluppato in Pakistan e Iran, e in eventuali altri Paesi di primo asilo/Paesi di transito. Le persone che saranno prese in carico dalla Chiesa cattolica italiana, saranno accolte in diverse diocesi dove, con il supporto delle Caritas locali, saranno sostenute in un percorso di integrazione e inclusione. «Quando è scoppiata la crisi afghana – ha detto monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, prendendo la parola alla cerimonia della firma del Protocollo -, abbiamo pensato subito ai corridoi umanitari come mezzo per farci prossimi a questa popolazione». Dal 2017 la Cei sta portando avanti il progetto dei corridoi umanitari, offrendo, grazie a Caritas Italiana, «un’alternativa legale a oltre mille persone provenienti dall’Etiopia, dal Niger, dalla Turchia, dalla Giordania. I corridoi umanitari rappresentano una via sicura per coloro che sono costretti a fuggire dalla propria terra – ha detto Russo -. Dietro a queste firme, dietro a questo atto così semplice, c’è un lavoro che ha preceduto e un lavoro che inizia e coinvolgerà tanti. Speriamo che possa diventare una buona notizia che si diffonde e coinvolgere sempre più paesi Europei».
Una buona pratica per l’Europa
«L’Italia ha una chiara vocazione umanitaria – ha detto il presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo -. Questo corridoio nasce da un grande sentimento emerso nel popolo italiano durante il mese di agosto, quando abbiamo visto le immagini tragiche dell’evacuazioni dei cittadini afghani dall’Afghanistan. Abbiamo voluto dare una risposta a questo grande movimento per non dimenticare nessuno, quelli rimasti sul terreno e quelli che sono riusciti ad andare in Paesi limitrofi».
«Il sistema dei corridoi umanitari permette nella via della legalità un percorso di accoglienza e integrazione», ha dichiarato Daniele Garrone, neo-presidente della Federazione delle Chiese evangeliche, che ha sottolineato il valore della sinergia tra Stato e Chiese nel promuovere e sostenere il progetto dei corridoi umanitari auspicando che diventi «una buona pratica anche per tutta l’Europa», nella consapevolezza che le migrazioni non sono «una emergenza temporanea», ma «fenomeno del cambiamento epocale».
«Un’Europa più solidale, più responsabile, più partecipativa a quelli che sono problemi che non possono ricadere soltanto su alcuni Stati»: a chiederlo è stato il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Sono in atto «interventi in Libia di salvataggio. Abbiamo delle navi di ong che stanno portando tanti migranti a bordo. Io vorrei dire: giusto che si salvino queste persone, è ingiusto che sia solo l’Italia. Ingiusto enormemente perché non può essere un carico che deve avere un solo Paese solo perché è di primo approdo». All’Europa, e in particolare all’Unione Europea, il ministro Lamorgese chiede «una giusta ridistribuzione, non soltanto di uomini, ma di responsabilità, secondo un principio di solidarietà che dovrebbe essere principio cardine su cui l’Europa si è formata».