«Azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti nella Chiesa»
«I crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli». È quanto si legge nel Motu Proprio “Vos estis lux mundi”, emanato dal Papa giovedì 9 maggio come uno dei frutti del summit vaticano di febbraio su “La protezione dei minori della Chiesa”.
«Affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano più, serve una conversione continua e profonda dei cuori, attestata da azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti nella Chiesa, così che la santità personale e l’impegno morale possano concorrere a promuovere la piena credibilità dell’annuncio evangelico e l’efficacia della missione della Chiesa», il monito del Papa, che ricorda come ogni fedele cristiano è chiamato a «essere luminoso di virtù, integrità e santità». «Anche se tanto già è stato fatto, dobbiamo continuare a imparare dalle amare lezioni del passato, per guardare con speranza verso il futuro», scrive il Papa, sottolineando che «questa responsabilità ricade, anzitutto, sui successori degli apostoli», che reggono «le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come chi serve».
«Quanto in maniera più stringente riguarda i successori degli apostoli, concerne tutti coloro che in diversi modi assumono ministeri nella Chiesa, professano i consigli evangelici o sono chiamati a servire il popolo cristiano», prosegue Francesco allargando lo sguardo e auspicando che «siano adottate a livello universale procedure volte a prevenire e contrastare questi crimini che tradiscono la fiducia dei fedeli». «Desidero che questo impegno si attui in modo pienamente ecclesiale, e dunque sia espressione della comunione che ci tiene uniti, nell’ascolto reciproco e aperto ai contributi di quanti hanno a cuore questo processo di conversione», l’appello del Papa.
No a omissioni o elusioni
Le norme si applicano «in caso di segnalazioni relative a chierici o a membri di Istituti di vita consacrata o di Società di vita apostolica e concernenti», che riguardano «delitti contro il sesto comandamento del Decalogo». L’elenco di tali «delitti», stilato dal Santo Padre, è dettagliato: «Costringere qualcuno, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, a compiere o subire atti sessuali; compiere atti sessuali con un minore o con una persona vulnerabile; produzione, nell’esibizione, nella detenzione o nella distribuzione, anche per via telematica, di materiale pedopornografico, nonché reclutamento o nell’induzione di un minore o di una persona vulnerabile a partecipare a esibizioni pornografiche».
Nella lista figurano anche le «azioni od omissioni dirette a interferire o a eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali, nei confronti di un chierico o di un religioso». Nel nuovo dispositivo, il Papa ribadisce inoltre l’equiparazione tra la figura del «minore», cioè «ogni persona avente un’età inferiore a diciott’anni o per legge a essa equiparata» e quella della «persona vulnerabile», vale a dire «ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa». Francesco chiarisce anche cosa si intende con l’espressione «materiale pedopornografico»: «Qualsiasi rappresentazione di un minore, indipendentemente dal mezzo utilizzato, coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, e qualsiasi rappresentazione di organi sessuali di minori a scopi prevalentemente sessuali».
Appositi uffici
«Stabilire, entro un anno dall’entrata in vigore delle presenti norme, uno o più sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico per presentare segnalazioni, anche attraverso l’istituzione di un apposito ufficio ecclesiastico». È quanto dispone il Motu proprio, affidando tale compito, da realizzare «singolarmente o insieme», alle Conferenze episcopali, ai Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali e delle Chiese arcivescovili maggiori, ai Consigli dei Gerarchi delle Chiese Metropolitane sui iuris, le diocesi o le eparchie, che informano il rappresentante Pontificio dell’istituzione di tali sistemi. «Le informazioni sono tutelate e trattate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza», si legge nel Motu proprio, in cui il Papa stabilisce che «l’Ordinario che ha ricevuto la segnalazione la trasmette senza indugio all’Ordinario del luogo dove sarebbero avvenuti i fatti, nonché all’Ordinario proprio della persona segnalata, i quali procedono a norma del diritto secondo quanto previsto per il caso specifico».
Molto dettagliate anche le norme relative alle modalità della segnalazione: «Ogni qualvolta un chierico o un membro di un Istituto di vita consacrata o di una Società di vita apostolica abbia notizia o fondati motivi per ritenere che sia stato commesso» uno dei «delitti» elencati, «ha l’obbligo di segnalare tempestivamente il fatto all’Ordinario del luogo dove sarebbero accaduti i fatti o a un altro Ordinario». «Chiunque può presentare una segnalazione» concernente gli abusi del clero, dispone il Papa, ricordando che «la segnalazione può sempre essere indirizzata alla Santa Sede, direttamente o tramite il rappresentante Pontificio». Quanto agli elementi della segnalazione, deve contenere «gli elementi più circostanziati possibili, come indicazioni di tempo e di luogo dei fatti, delle persone coinvolte o informate, nonché ogni altra circostanza che possa essere utile al fine di assicurare un’accurata valutazione dei fatti». Le notizie possono essere acquisite anche ex officio.
Accoglienza, ascolto, accompagnamento
Uno specifico articolo si rivolge alle vittime: «Le Autorità ecclesiastiche si impegnano affinché coloro che affermano di essere stati offesi, insieme con le loro famiglie, siano trattati con dignità e rispetto». In particolare, le autorità ecclesiastiche sono esortate a offrire alle vittime degli abusi «accoglienza, ascolto e accompagnamento, anche tramite specifici servizi; assistenza spirituale assistenza medica, terapeutica e psicologica, a seconda del caso specifico». Sono tutelate, infine, «l’immagine e la sfera privata delle persone coinvolte, nonché la riservatezza dei dati personali».
Le competenze
Il nuovo Motu Proprio riguarda «condotte poste in essere» da «cardinali, patriarchi, vescovi e legati del Romano Pontefice; chierici che sono o che sono stati alla guida pastorale di una Chiesa particolare o di un’entità a essa assimilata, latina od orientale, ivi inclusi gli Ordinariati personali; chierici che sono o che sono stati alla guida pastorale di una prelatura personale, per i fatti commessi durante munere; coloro che sono o che sono stati Moderatori supremi di Istituti di vita consacrata o di Società di vita apostolica di diritto pontificio, nonché di Monasteri sui iuris».
Il Dicastero competente è la Congregazione per la Dottrina della fede, «circa i delitti a essa riservati dalle norme vigenti, nonché, in tutti gli altri casi e per quanto di rispettiva competenza in base alla legge propria della Curia Romana: la Congregazione per le Chiese Orientali; la Congregazione per i vescovi; la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; la Congregazione per il clero; la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Il Dicastero competente informa della segnalazione e dell’esito dell’indagine la Segreteria di Stato e gli altri Dicasteri direttamente interessati»; entro trenta giorni dal riferimento della prima segnalazione, il Dicastero fornisce «le opportune istruzioni riguardo a come procedere nel caso concreto». Una volta ottenuto l’incarico, comincia l’indagine, di cui è responsabile il Metropolita, il quale, una volta raccolte le informazioni, «qualora si renda necessario sentire un minore o una persona vulnerabile», è tenuto a farlo «con modalità adeguate, che tengano conto del loro stato. Nel caso in cui esistano fondati motivi per ritenere che informazioni o documenti concernenti l’indagine possano essere sottratti o distrutti, il Metropolita adotta le misure necessarie per la loro conservazione».
«Il Metropolita è tenuto ad agire con imparzialità e privo di conflitti di interessi – il monito -. Qualora egli ritenga di trovarsi in conflitto di interessi o di non essere in grado di mantenere la necessaria imparzialità per garantire l’integrità dell’indagine, è obbligato ad astenersi e a segnalare la circostanza al Dicastero competente». «Alla persona indagata è riconosciuta la presunzione di innocenza»: può presentare una memoria difensiva e avvalersi di un procuratore. Nelle indagini, il metropolita può avvalersi anche di «persone qualificate», tenute anch’esse ad «agire con imparzialità» e senza «conflitti di interessi».
Le indagini devono essere concluse entro il termine di novanta giorni: «In presenza di giusti motivi, il Metropolita può chiedere la proroga del termine al Dicastero competente». «Qualora i fatti o le circostanze lo richiedano, il Metropolita propone al Dicastero competente l’adozione di provvedimenti o di misure cautelari appropriate nei confronti dell’indagato», si legge nel Motu Proprio, che prevede anche l’istituzione di un «fondo destinato a sostenere i costi delle indagini». Completata l’indagine, il Metropolita trasmette gli atti al Dicastero competente insieme al proprio votum sui risultati dell’indagine. Il Dicastero, a sua volta, può disporre un’indagine suppletiva. «Le presenti norme si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti eventuali obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti», la disposizione finale del Motu Proprio, le cui norme sono approvate ad experimentum per un triennio.