Nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali il Santo Padre si rivolge al «custode delle notizie» che «nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione». Il giornalista deve ricordare che «al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone». Il serpente «si rese artefice della prima fake news, che portò alle tragiche conseguenze del peccato»

di Riccardo BENOTTI

fake news Cropped

È tra gli argomenti all’ordine del giorno di politici e professori, presidenti e servizi segreti. Una lotta senza esclusione di colpi si sta combattendo sulle due sponde del Pacifico, con i russi sospettati di aver perfino influenzato le ultime elezioni statunitensi favorendo il candidato repubblicano. Oggetto del desiderio, per chi ne vuole trarre il massimo vantaggio, sono le fake news: notizie false o costruite ad arte, come ne esistono da sempre, che però hanno cambiato il loro peso strategico nell’ambito informativo grazie all’uso di social network e motori di ricerca che ne amplificano a dismisura gli effetti. Non poteva essere più attuale, dunque, il tema scelto quest’anno da Papa Francesco per il messaggio per la 52ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali «”La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace» (pubblicato nel giorno della ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti; la Giornata si celebra quest’anno il 13 maggio).

Per inquadrare uno scenario sempre più caratterizzato da un sovraccarico informativo, dove ogni utente può trasformarsi in un produttore di contenuti, si può partire dai numeri: in appena 60 secondi, vengono pubblicati 3 milioni di contenuti su Facebook, 430 mila tweet, compiute 2 milioni e 315 mila ricerche su Google, inviate 150 milioni di email e 44 milioni di messaggi su WhatsApp, visualizzati 2 milioni e 700 mila video su YouTube. È questo il contesto che si trova a fronteggiare il giornalista, alle prese con lettori/utenti sommersi da un tale flusso di informazioni che ne cannibalizza l’attenzione e spesso li rinchiude in “camere dell’eco” dove si rafforzano soltanto le proprie convinzioni.

Per questa ragione il Papa si rivolge al «custode delle notizie» che, «nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione». Nella «frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop», il giornalista deve infatti «ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone».

Giornalismo di pace

L’invito di Francesco è a «promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce». Un giornalismo, prosegue il Santo Padre, «che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale».

Già in una intervista del 2016, il Papa aveva messo in guardia dalla disinformazione che è «probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l’opinione in una direzione, tralasciando l’altra parte della verità».

La prima fake news

Quanto è difficile il compito affidato dal Papa agli operatori della comunicazione? Tanto, ed è lo stesso Pontefice a riconoscerlo: «Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano». Definendo «lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo» tanto quanto «le iniziative istituzionali e giuridiche», Francesco si spinge oltre e individua una chiave di lettura per prevenire e identificare i meccanismi della disinformazione: la definisce «logica del serpente», colui il quale «si rese artefice della “prima fake news” (cfr. Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr. Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato». La strategia di questo «abile “padre della menzogna” (Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti». Di fronte al «virus della falsità», riconosce il Papa, il «più radicale antidoto» è lasciarsi «purificare dalla verità».

Verifica e fact checking

Le implicazioni per il mondo del giornalismo sono importanti, e la necessità di impegnarsi con crescente convinzione nel lavoro di fact checking, analisi dei dati e verifica delle fonti non è più rimandabile. Guardando con occhio critico quei social network che ormai dettano l’agenda quotidiana e orientano l’opinione pubblica. In attesa che le istituzioni politiche riescano finalmente a sedersi intorno al tavolo con i padroni (digitali) del mondo per arginare il fenomeno.

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