Una coalizione con il 35-40% dei voti potrebbe ottenere circa il 60% dei seggi: è una delle possibili conseguenze del «Rosatellum» che regola le elezioni del 25 settembre. Il docente della Cattolica: «Questo sistema può produrre un forte squilibrio tra i risultati effettivi e la composizione delle Camere»
di Bruno
Cadelli
In questa tornata elettorale – la prima con la riduzione dei parlamentari e con la legge elettorale «Rosatellum» che non è stata modificata – si rischia di distorcere la rappresentanza in Parlamento. Una coalizione con il 35-40% dei voti potrebbe ottenere circa il 60% dei seggi. Lo sottolinea Damiano Palano, docente di Filosofia politica e direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università cattolica di Milano, in quest’intervista rilasciata a Radio Marconi.
Dopo la riforma che ha portato ai tagli dei parlamentari, l’Italia è diventato il Paese europeo con un rapporto minore tra deputati e numero di abitanti. Questo causa qualche criticità?
La riduzione del numero dei parlamentari di per sé non sarebbe un problema così grande. Tuttavia il combinato disposto tra questa riduzione e legge elettorale può ridurre sensibilmente la rappresentatività del Parlamento, perché le forze minori possono essere escluse, ma soprattutto perché questo sistema elettorale può produrre una forte disproporzionalità tra i risultati effettivi delle elezioni e la composizione del Parlamento.
Cosa intende?
Ogni sistema elettorale si gioca sempre su un equilibrio tra rappresentatività e necessità di produrre maggioranze e garantire la governabilità. Questo è un problema che abbiamo sempre avuto. Nella Prima Repubblica avevamo un sistema proporzionale quasi puro, con correzioni minime, e l’effetto era quello di avere una fotografia delle preferenze degli elettori. Nella cosiddetta Seconda Repubblica si sono introdotti meccanismi maggioritari che hanno ridotto la rappresentatività per ottenere maggioranze più chiare e solide. L’attuale sistema elettorale introduce una correzione maggioritaria particolare che non ha grandi altri esempi nel mondo: fa votare gli elettori per la lista e la coalizione e contemporaneamente anche per candidati in collegi uninominali. Una parte consistente dei seggi, i 3/8, viene assegnata in collegi uninominali, nei quali vince il candidato che ottiene anche un solo voto più degli altri. Questo significa che in linea teorica una coalizione che avesse il 35-40% dei voti distribuito uniformemente nel territorio nazionale, e che si trovasse di fronte coalizioni meno forti, potrebbe ottenere una larghissima maggioranza in Parlamento (circa il 60% dei seggi).
Secondo lei il Parlamento ha perso importanza soprattutto nel processo di iniziativa legislativa?
Non è una tendenza che riguarda soltanto l’Italia. Negli ultimi quarant’anni in tutte le democrazie il Parlamento ha perso sempre più peso nei confronti dell’esecutivo. Gran parte dell’iniziativa legislativa in Italia e in altri Paesi spetta ormai ai Governi e ai Parlamenti rimane sicuramente un ruolo minoritario. Sulle cause c’è chi dice che sia dovuto alla telepolitica; al ruolo dei capi di Governo diventato molto più forte; alla necessità di rispondere in tempi rapidi alle esigenze del cittadino, che ha fatto sì che gli esecutivi conquistassero spazio. Questo non significa che il Parlamento abbia perso qualsiasi peso. La funzione di controllo e di indirizzo politico del Governo rimane ancora fondamentale in Italia; infatti i Governi continuano a cadere, come nella Prima Repubblica, per volontà del Parlamento, dove si modificano le maggioranze, gli interessi e gli obiettivi delle forze politiche.
Tra l’altro con questa legge elettorale si erode ancora di più il rapporto territorio e candidati…
Sì, è vero. Ciò è favorito dal fatto che i partiti oggi tendono a essere molto visibili sui mass media e scarsamente presenti sul territorio. Un aspetto che questa legge enfatizza ulteriormente è quello legato ai collegi uninominali. In teoria questo dovrebbe rafforzare il rapporto tra candidati e territorio, perché devono presentarsi non tanto con insegne di partito, ma portando la propria esperienza. Ma in questo caso non avviene, perché l’elettore si trova di fronte un’unica scheda, non ha la possibilità di votare in modo disgiunto. Pertanto il candidato non è il portavoce di se stesso e della propria esperienza, ma spesso è paracadutato dalle direzioni dei partiti in collegi che sono considerati più o meno sicuri.