Per un male incurabile è scomparso a 64 anni Paolo Rossi, protagonista della vittoria al Mondiale 1982. Una carriera costruita con tenacia, passando anche attraverso momenti bui
di Mauro
COLOMBO
È difficile credere che Paolo Rossi sia morto. Uno come lui, che anche a 64 anni, con le rughe e i capelli grigi, sembrava ancora un ragazzino e conservava lo sguardo sbarazzino che aveva fatto strage di cuori nelle sue estati Mundial. Invece, complice un male che non lascia scampo, questo maledetto 2020 si è portato via anche Pablito, protagonista di una stagione indimenticabile del nostro calcio e del nostro Paese.
Ed è anche difficile pensare che dietro quel sorriso disarmante ci fosse una volontà incrollabile. Ma è proprio così. Altrimenti Rossi non avrebbe affrontato tenacemente la gavetta che doveva portarlo al grande calcio. Altrimenti non si sarebbe ripreso dai gravi infortuni che attentarono alle sue ginocchia. Altrimenti sarebbe stato schiacciato dalla pressione, quando il Ct Bearzot lo gettò nella mischia al Mondiale di Argentina 1978, e lui rispose mostrando subito di che pasta era fatto. Altrimenti non avrebbe retto con disinvoltura il peso di cinque miliardi di vecchie lire, la valutazione con la quale Giussy Farina, scaltro presidente del Vicenza, lo sottrasse alla Juventus. Altrimenti non sarebbe sopravvissuto alla tempesta del calcio-scommesse del 1980, alla quale si dichiarò sempre estraneo, ma che gli costò una squalifica di due anni e un Europeo. Altrimenti non avrebbe resistito alle polemiche quando, appena tornato a giocare, sempre Bearzot lo volle convocare a tutti i costi per il Mondiale di Spagna 1982. Altrimenti sarebbe stato travolto dalle ironie di cui fu fatto oggetto dopo le prime, infelici esibizioni di quel torneo.
Rossi è passato attraverso tutto questo con la leggerezza e l’agilità con cui beffava le difese avversarie: i suoi gol, tocchi semplici da pochi passi, sembravano facili, ma intanto lui sapeva farsi trovare al posto giusto al momento giusto, guidato da un istinto che non era solo opportunismo. Capitò anche in quella estate spagnola: l’irresistibile tripletta al Brasile, l’irridente doppietta alla Polonia, l’astuto guizzo alla Germania che aprì le porte alla grande festa azzurra del Bernabeu, con il presidente Pertini che benediceva dalla tribuna. E con il Mundial, per lui, anche il titolo di capocannoniere e il Pallone d’oro (dopo ci è riuscito solo Ronaldo).
Il seguito non fu sempre all’altezza e il declino agonistico fu forse più repentino del previsto. Rossi ha speso il post-carriera tra avventure politiche, esperienze dirigenziali e un intenso impegno sociale. In qualità di commentatore e opinionista, all’indubbia competenza tecnica ha unito garbo, ironia e, soprattutto, l’impressione di divertirsi. Come faceva in campo.