Le navi potranno transitare e intervenire solo per i soccorsi, sotto il controllo e le indicazioni delle autorità territoriali. Ne parliamo con Ivana Borsotto, presidente della Focsiv
di Patrizia
Caiffa
Agensir
L’attacco alle Ong che salvano vite in mare è «un diversivo crudele, che serve soltanto a nascondere l’incapacità di governare un processo complicato» come quello delle migrazioni. È la sensazione espressa da Ivana Borsotto, presidente della Focsiv, il coordinamento che riunisce da 50 anni 94 Ong di ispirazione cristiana.
Borsotto commenta a caldo il nuovo codice di condotta delle Ong varato dal Governo (leggi qui). Le navi potranno transitare e intervenire solo per i soccorsi, sotto il controllo e le indicazioni delle autorità territoriali. Le operazioni di soccorso devono essere «immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera, ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità». Il decreto legge stabilisce che le navi Ong potranno raggiungere l’Italia solo se «il porto di sbarco assegnato è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso». In pratica le navi non potranno accumulare più salvataggi in mare prima di raggiungere il porto assegnato. Sono previste sanzioni da 10.000 a 50 mila euro, fermo amministrativo della nave per due mesi fino alla confisca, che si applicano al comandante della nave e in solido all’armatore e al proprietario.
«Siamo molto vicini alle Ong che hanno navi umanitarie – afferma Borsotto -. Non solo esprimendo la nostra solidarietà, ma rendendo ascoltabile il fatto che la migrazione è gestibile”.
Come annunciato è arrivato il nuovo codice di condotta per le Ong che salvano vite umane nel Mediterraneo. Che ne pensa?
Dobbiamo ricordare che negli ultimi 15 anni quasi 30.000 persone sono annegate nel Mediterraneo, che abbiamo trasformato in un grande sudario. Questo per l’Italia e per l’Europa dovrebbe già essere un elemento di riflessione: cosa stiamo diventando? A cosa ci stiamo abituando? Ricordiamo anche che le Ong hanno salvato una quota minima delle persone che fanno la traversata e che nei flussi di persone che arrivano in Italia la stragrande maggioranza arriva in autonomia o sono state aiutare dalla Guardia costiera italiana. Anzi, potremmo dire che le Ong potrebbero fare ancora di più se non venissero intralciate da provvedimenti come quello che di oggi.
Invece le Ong vengono accusate – erroneamente perché smentito da studi – di essere un pull factor per i migranti irregolari, ossia un fattore di attrazione…
Questa idea che la presenza delle navi attragga i migranti non esiste. Dovremmo invece ragionare sul push factor. La nostra comunità dovrebbe interrogarsi e chiedersi perché donne, uomini e bambini lasciano i loro Paesi, perché accettano percorsi migratori che li vedono attraversare il deserto, lavorare in condizioni, vittime di tortura e violazioni di ogni tipo. Perché non riusciamo a farci questa domanda? Se veramente riuscissimo a capire il perché potremmo anche chiederci perché non investiamo in modo serio sui processi di sviluppo di questi Paesi. L’Italia più di 50 anni fa, in sede Onu, assunse l’impegno di destinare lo 0,70% della propria ricchezza all’aiuto pubblico allo sviluppo. Oggi siamo allo 0,28%, il traguardo è stato spostato al 2030 e continuiamo ad esserne molto lontani. Abbiamo la sensazione che questo attacco alle Ong che salvano vite in mare rappresenti un diversivo crudele, che serve soltanto a nascondere l’incapacità di governare un processo complicato. Perché nessuno nega che gestire le migrazioni globali sia un processo complicato e faticoso. Però noi come società civile, come Ong che operano in quei Paesi, siamo i primi testimoni non solo delle condizioni di vita lì ma anche del fatto che le politiche migratorie più efficaci partono dai Paesi di origine, quindi la cooperazione bilaterale potrebbe svolgere un ruolo molto importante. Governare i flussi significa aprire delle porte mettendo delle condizioni, chiedendo ad esempio la conoscenza della lingua, provando a capire se ci sono professionalità già formate o che si possono formare. Percorsi già sperimentati ci dicono che si può governare un flusso migratorio. È chiaro, è tutto più complicato e presuppone una capacità di regia importante che accompagni dal momento della selezione del permesso di entrata all’inclusione sociale e lavorativa. Però si può fare.
Le Ong disturbano?
Evidentemente le Ong disturbano. Purtroppo il meccanismo di mettere gli ultimi contro i penultimi funziona sempre molto. Noi siamo dalla parte di chi chiede più giustizia e libertà e capiamo la richiesta di futuro dei giovani di questi Paesi. Tra l’altro come europei e come italiani abbiamo bisogno dei migranti, anche per contrastare l’inverno demografico che ci rende una società anziana e impaurita che tende a chiudersi. Bisogna capire che grazie a loro interi comparti della nostra economia e società (settore edile, servizi alle persone e alle famiglie, i sacerdoti nella Chiesa) vanno avanti. Fa parte dell’evoluzione della storia.
Il nuovo provvedimento prevede pesanti sanzioni pecuniarie a chi non rispetta le regole previste…
Aumentare le sanzioni pecuniarie significa mettere sempre più in difficoltà le Ong che riescono a garantire questo servizio autofinanziandosi. Sono provvedimenti che mettono in discussione il nostro modo di concepire il nostro essere umani. Ne va della nostra umanità. La grande questione che aleggia dietro questo tema è la paura, la grande cifra del nostro tempo. Paura del futuro e il mondo fa paura. Questo fa sì che sia più efficace una narrazione che pensa ci si possa davvero chiudere in una corazza, senza capire che i muri non possono risolvere problemi globali. Non si può fermare il vento con le mani. Non è facile convivere tra culture diverse ma non è impossibile. Il lavoro di integrazione e mediazione culturale è fondamentale. Perciò i flussi migratori vanno gestiti, preparati e governati.
Il decreto restringe di fatto le possibilità, per le Ong, di effettuare più salvataggi durante una stessa missione…
Il tema dell’unico salvataggio contrasta con il fatto che le leggi del mare impongono di salvare la vita di chi si trova in pericolo in mare senza condizioni. È veramente grottesco sindacare sullo status di quella persona per sapere se sia da salvare o no. A noi sembra una aberrazione disumana. La capacità di gestire i flussi migratori sarà il vero indicatore di civiltà democratica e su questo dovremmo sentire tutti la responsabilità, nessuno può chiamarsi fuori
Cosa cambierà ora per le Ong?
Siamo abituati a questi tempi avversi. Dovremo avere la forza di farci sentire. La Focsiv non ha una nave in mare, ma solo perché non ne abbiamo le possibilità e la capacità, altrimenti saremmo lì, per fare del Mediterraneo un luogo di accoglienza, di giustizia e pace. Noi continuiamo a lavorare in quei Paesi, anche sulle rotte migratorie più crudeli come la rotta balcanica e nell’accoglienza dei profughi ucraini. Certo ci è chiesta una maggiore capacità di farci ascoltare dalla gente e dalla politica. Perché la cooperazione non è un lusso che non possiamo permetterci: è un grande investimento, un modo di dire che siamo aperti al mondo, perché non è in Italia, ma nel mondo che si costruiscono le soluzioni ai problemi globali.