Aveva 67 anni. Per dieci anni capo redattore centrale della Tgr Campania, dal 2002 al 2008 fu presidente nazionale dell'Ucsi, che lo ricorda con le parole del presidente Varagona
Lutto nel mondo del giornalismo per la scomparsa di Massimo Milone, già direttore di Rai Vaticano, da poco in pensione. Aveva 67 anni, è stato stroncato da un malore improvviso nella sua casa di Napoli.
Dopo aver collaborato da giovane con il quotidiano Avvenire, Milone entrò in Rai nel 1979 e seguì come inviato avvenimenti come il rapimento di Ciro Cirillo e il terremoto dell’Irpinia del 1980. Per dieci anni fu capo redattore centrale della Tgr Campania, sotto la sua guida cresciuta fino a raggiungere quaranta giornalisti e producendo, assieme a Milano, il primo Tg nazionale del mattino, «Buongiorno Italia».
Divenne poi responsabile di Rai Vaticano, la struttura della Rai che si occupa di gestire trasmissioni televisive di carattere religioso, in particolare riguardanti la Santa Sede. Con l’inizio del Giubileo straordinario della misericordia ideò lo speciale «Il Giubileo di Francesco», in onda su Rai1. Ha seguito successivamente i viaggi del Pontefice tra Cuba, Stati Uniti e Messico. Ha scritto sei libri e diversi saggi giuridici. Dal 2002 al 2008 fu presidente dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi) subentrando a Emilio Rossi.
Il ricordo dell’Ucsi
«L’avevo visto solo pochi giorni fa, a Roma. Ero rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua telefonata: non aveva whatsapp e le sue comunicazioni erano solo “analogiche”. Era rimasto colpito da Desk, la rinnovata rivista Ucsi, e ne voleva una copia cartacea. Ma sentivo che era il pretesto per una chiacchierata, come ai vecchi tempi. Entrambi con decenni di esperienza Ucsi, anche se lui di vertice, io periferica, come di Rai, e anche in questo caso lui di vertice, io periferica. Sorrido, anche adesso, pensando di averlo fatto aspettare abbastanza fuori della Fnsi. Pensavo che quella riunione in federazione finisse come sempre, invece si era protratta oltre tempo e ogni quarto d’ora gli mandavo un sms: «Max, porta pazienza». Quando finalmente sono sceso, al bar davanti la Fnsi, con un sorriso ironico mi dice in napoletano tradotto: «Guaglió, mi hai fatto aspettare tanto come neanche una bella donna…».
Due pacche reciproche sulle spalle, e poi una lunghissima chiacchierata… Entrambi eravamo a una svolta, io avevo lasciato la Rai accettando l’avventura della presidenza Ucsi, lui in pensione, con, comunque il continuo pendolarismo Napoli Roma. Non è semplice uscire così dalla direzione Rai Vaticano. Era un fiume in piena, per le cose che avrebbe fatto e quelle che avrebbe voluto fare. Pieno di idee e progetti. Come quando era direttamente impegnato in Ucsi. Presidente per sei anni, dal 2002 al 2008. Prima un triennio da segretario, con la presidenza di Emilio Rossi.
Quanto, in questi anni, abbiamo discusso, su come modernizzare l’associazione, su quali proposte attuare per sensibilizzare tanti colleghi sulla necessità di un nuovo stile professionale… Mi aveva chiamato, quindi, per rallegrarsi e incoraggiarmi. «Tu sai, diceva, quanta fatica ci vuole per fare le cose in cui credi…». Per questo aveva apprezzato la rivista, per la quale a suo tempo si era battuto, rendendola -anche lui- un prodotto ricercato. Gli dicevo: «Adesso che sei in pensione ci darai una mano!». Ma ero il primo a sapere che l’andare in pensione non gli avrebbe regalato più tempo. Anzi. Gli avrebbe regalato un tempo diverso.
Poi, la notizia di questa notte, di fronte alla quale restiamo tutti attoniti, impotenti, non attrezzati. I cattolici hanno un orizzonte diverso, di fronte alla morte. Ma tra il dire e il fare c’è davvero tanta strada. Quando muore una persona cara si cerca in tutti i modi di coglierne il senso, e lo si trova solo in questa prospettiva. C’è la bios, la vita terrena, e la Zoe, la dimensione eterna della vita in confronto alla quale la vita terrena appare davvero piccola cosa. Piccola, ma importantissima. E allora le parole in questo momento servono a poco. Il dolore è fortissimo. Cerchiamo di dargli un significato, perché è una cosa molto utile e ci stringiamo attorno alla famiglia, con un unico abbraccio, cercando quell’orizzonte verso cui sta guardando anche Massimo.
Ciao Max, caro amico. È solo un affettuoso arrivederci».