Il presidente Roberto Jarach illustra l’impegno teso a “non dimenticare” e si mostra fiducioso nella sensibilità delle nuove generazioni: «Frequentano questo luogo con attenzione e preparazione»
di Bruno
CADELLI
Tenere viva la memoria della Shoah e trasferirla alle nuove generazioni. Un compito difficile, ma non impossibile, quello del Memoriale della Shoah di Milano, da dieci anni punto di riferimento per non dimenticare il dramma dell’Olocausto. «L’impegno del Memoriale è quotidiano – dice il presidente Roberto Jarach -. Le nostre attività non si concentrano solo il 27 gennaio quando ricorre la Giornata della Memoria». Nell’area dove sorge il Memoriale, tra il 1943 e il 1945 migliaia di ebrei e oppositori politici furono deportati nei campi di concentramento. Il 6 dicembre 1943 partì il primo convoglio di prigionieri ebrei: di 169 persone ne tornarono solo 5. Il 30 gennaio 1944 partì il secondo e soltanto 22 delle 605 persone deportate quel giorno sopravvisse (tra loro Liliana Segre, allora tredicenne, tra le poche sopravvissute ad Auschwitz-Birkenau).
Presidente Jarach, proprio Liliana Segre ha detto che la Shoah «prima diventerà una riga nei libri di storia e poi nemmeno più quella». Condivide questo timore?
Credo che l’esistenza del Memoriale e l’inserimento della visita al Memoriale da parte di molte scuole sia rilevante. Abbiamo centinaia di visite e stiamo tornando ad avere i numeri precedenti lo scoppio della pandemia, ovvero oltre 40 mila studenti ospitati durante l’anno scolastico. Questi numeri e questa partecipazione penso possano allontanare nel tempo il timore di Liliana. Sono abbastanza convinto che la Shoah e la memoria continueranno a essere un argomento rilevante e responsabilizzeranno sempre di più la coscienza di tutti.
Sami Modiano (uno degli ultimi sopravvissuti alla deportazione, ndr) dice di credere nei giovani. Anche voi avete un riscontro positivo?
Posso confermarle che il livello di preparazione delle scolaresche da quando il memoriale è stato aperto nel 2013 è nettamente migliorato. Gli insegnanti danno molti segnali incoraggianti di sensibilità e gli studenti di preparazione. Le guide, primo e fondamentale punto di contatto, mi riferiscono che la concentrazione e preparazione con la quale i ragazzi frequentato il Memoriale è nettamente cresciuta.
Spesso si ricorda il 27 gennaio e poi tutto finisce nel dimenticatoio. La cultura della memoria e della tolleranza deve essere più diffusa?
Sì e questo è anche un impegno del Comune di Milano. “Milano memoria” è l’esempio di un progetto che va al di là di queste singole iniziative e singole giornate. Passa attraverso le pietre d’inciampo e le celebrazioni in diversi punti della città. Con questo progetto la storia della città rimane continuamente in vita. Significa non fermarsi mai. Ci sono tante iniziative che continueranno e molti enti sono impegnati per tenere viva la storia.
La storia può essere tenuta viva anche e soprattutto grazie alla tecnologia?
Sicuramente. Nei prossimi anni a completamento del Memoriale ci sarà anche quello che definisco centro multimediale, ovvero un luogo di collegamento con realtà museali e centri della memoria nel mondo. A giugno poi è stata inaugurata la biblioteca, dotata di 32 mila volumi di storia della deportazione della Shoah. È un luogo di studio ma essendo immerso nel memoriale porterà nuovi giovani ad approfondire l’argomento.