Il Presidente della Repubblica alle celebrazioni del centenario della nascita del Priore: «Maestro ed educatore, la Costituzione era il suo vangelo laico»
di Agensir
«È stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi. Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana». Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato don Lorenzo Milani, intervenendo a Barbiana all’apertura delle celebrazioni per il centenario della nascita del sacerdote fiorentino.
«Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa che non è passato invano tra di noi ma che, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: far crescere le persone, far crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia», ha osservato il Capo dello Stato, evidenziando che «nella sua inimitabile azione di educatore – e lo possono testimoniare i suoi “ragazzi” – pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale».
«In tempi lontani dalla globalizzazione e da internet, da qui, da Barbiana – allora senza luce elettrica e senza strade asfaltate – il messaggio di don Milani si è propagato con forza fino a raggiungere ogni angolo d’Italia; e non soltanto dell’Italia», ha sottolineato Mattarella, secondo cui, don Milani «aveva un senso fortissimo della politica. Se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era – mi permettano i Cardinali presenti – il suo vangelo laico». Richiamando la celebre frase «Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia», il Capo dello Stato ha commentato: «Difficile trovare parole più efficaci. Difficile non riscontrare lo stretto legame del suo insegnamento con la fede che professava: prima di ogni altra cosa, il rispetto e la dignità di ogni persona. Qui si intrecciano il don Milani prete, l’educatore, l’esortatore all’impegno».
«La scuola deve essere per tutti»
«Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito», ha detto ancora Mattarella.
«Il motore primo delle sue idee di giustizia e di uguaglianza era appunto la scuola. La scuola come leva per contrastare le povertà. Anzi, le povertà», ha evidenziato il Capo dello Stato, aggiungendo che «non a caso oggi si usa l’espressione “povertà educativa” per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino. La scuola per conoscere. Per imparare, anzitutto, la lingua, per poter usare la parola». Perché «la povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni».
«La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine», ha ammonito Mattarella, secondo cui Lettera a una professoressa, «scritta con i suoi ragazzi mentre avanzava la malattia – che lo avrebbe portato via a soli 44 anni – è un atto d’accusa, impietoso, di tutto questo». «Lettera a una professoressa – ha proseguito – ha rappresentato una lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo e ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese».
«La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti», ha continuato il Presidente, richiamando del Priore «la sua pedagogia della libertà». La scuola di Barbiana «invitava a saper discernere», ha sottolineato il Presidente, richiamando «quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo “l’obbedienza non è più una virtù” e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza».
«I care», un motto universale
«Non c’era integralismo nelle sue parole, piuttosto radicalità evangelica. Ma andrebbe detto autenticità evangelica», ha proseguito Mattarella.
«Sapeva di avere in mano un testimone – ha ricordato il Capo dello Stato -. Un testimone che doveva passare di mano, a cui poi i suoi ragazzi “aggiungessero” qualcosa». Per Mattarella, don Milani è stato «un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva. Il suo I care è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza». «A quella espressione se ne aggiungeva un’altra, meno conosciuta», ha proseguito il Presidente citando il Priore: «Finché c’è fatica, c’è speranza». «La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire», ha concluso il Capo dello Stato, rilevando che «don Lorenzo ha percorso un vero cammino di costruzione. E gli siamo riconoscenti».
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