Un discorso, quello per la fine del 2019, che non si rassegna alla retorica del declino inesorabile su cui si specula per coltivare paura e rancore e costruire su di essi un consenso in negativo
di Stefano
DE MARTIS
C’è una parola che torna con insistenza nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Una parola carica di «futuro» e di «speranza» che ne offre anche una possibile chiave di lettura: «fiducia». «L’Italia riscuote fiducia», sottolinea Sergio Mattarella con il pensiero alla considerazione internazionale del nostro Paese e alla sua storia, ma deve anche avere fiducia in se stessa per «dar corpo alla speranza di un futuro migliore». Un discorso, quello per la fine del 2019, che non si rassegna alla retorica del declino inesorabile su cui si specula per coltivare paura e rancore e costruire su di essi un consenso in negativo. No, dice il Capo dello Stato, «vi è un’Italia, spesso silenziosa, che non ha mai smesso di darsi da fare». Certo, i problemi sono gravi e non devono essere sottovalutati, a cominciare dal lavoro «che manca per tanti» e dalle «forti disuguaglianze». Ma «disponiamo di grandi risorse», «di umanità, di ingegno, di capacità di impresa» e bisogna «creare le condizioni che consentano a tutte le risorse di cui disponiamo di emergere e di esprimersi senza ostacoli e difficoltà». Questo richiede «spirito e atteggiamento di reciproca solidarietà» perché si tratta di una sfida che non si può affrontare se non «insieme»: Nord e Sud, giovani e anziani.
«Per promuovere fiducia – osserva ancora il Presidente – è decisivo il buon funzionamento delle pubbliche istituzioni che devono alimentarla favorendo coesione sociale», «assicurando decisioni adeguate, efficaci e tempestive sui temi della vita concreta dei cittadini», perché «la democrazia si rafforza se le istituzioni tengono viva una ragionevole speranza».
In un discorso dalla forte impronta “civica”, in cui volutamente il Capo dello Stato si pone su un piano diverso da quello del quotidiano scontro tra i partiti, questo snodo è stato indicato dagli analisti come il più politico in senso stretto. E con una punta di malizia si potrebbe associare a questo passaggio quello in cui, parlando successivamente dei media e delle conseguenze di un uso distorto dei social network, Mattarella afferma che «abbiamo bisogno di preparazione e di competenze», mentre «ogni tanto si vede affiorare la tendenza a prender posizione ancor prima di informarsi». Ma è al Paese nel suo insieme che si rivolge il Capo dello Stato, quando rimarca l’importanza di sviluppare sempre più «una cultura della responsabilità che riguarda tutti: dalle formazioni politiche ai singoli cittadini, alle imprese, alle formazioni intermedie, alle associazioni raccolte intorno a interessi e a valori». «La cultura della responsabilità – insiste il Presidente – costituisce il più forte presidio di libertà e di difesa dei principi su cui si fonda la Repubblica. Questo comune sentire della società, quando si esprime, si riflette sulle istituzioni per infondervi costantemente un autentico spirito repubblicano».
C’è un doppio punto di osservazione sul Paese, nel discorso di Mattarella, che prende spunto dal dono ricevuto di una foto dell’Italia vista dallo spazio (omaggio della governatrice del Canada, Julie Payette, una ex-astronauta) per invitare «a guardare l’Italia dal di fuori, allargando lo sguardo oltre il consueto». Allo stesso tempo c’è una visione, per così dire, dal basso, frutto di una «conoscenza diretta» ottenuta «visitando i nostri territori». Questo doppio sguardo è convergente perché la nostra «l’Italia vera è una sola, quella dell’altruismo e del dovere». La nostra «identità» è quella dei tre vigili del fuoco morti vicino ad Alessandria nell’esplosione di una cascina provocata per truffare l’assicurazione, un atto che allude a un’altra Italia che il Capo dello Stato si rifiuta persino di definire e che «non appartiene alla nostra storia e al sentimento profondo della nostra gente». È quella del sindaco di Rocca di Papa, morto nell’incendio del suo municipio dopo aver atteso che tutti gli altri si mettessero in salvo.
Questa Italia torna nel saluto che Mattarella rivolge a Papa Francesco, «vescovo di Roma, che esercita il suo alto magistero con saggezza e coraggio e che mostra ogni giorno di amare il nostro Paese, a partire da coloro che versano in condizioni di bisogno e da chi, praticando solidarietà, reca beneficio all’intera comunità civile».
Il richiamo alla fiducia che attraversa tutto il discorso del Presidente si condensa con particolare intensità in riferimento ai giovani, che significativamente vengono collegati al tema della famiglia. «Le nuove generazioni – rileva Mattarella – avvertono meglio degli adulti che soltanto con una capacità di osservazione più ampia si possono comprendere e affrontare la dimensione globale e la realtà di un mondo sempre più interdipendente» e hanno chiara la percezione che «i mutamenti climatici sono questione serissima che non tollera ulteriori rinvii nel farvi fronte». Se «ogni società ha bisogno dei giovani», ciò è tanto più vero «oggi che la durata della vita è cresciuta e gli equilibri demografici si sono spostati verso l’età più avanzata». Questa nuova condizione «impone di predisporre nei confronti degli anziani maggiori cure e attenzioni», ma «occorre, al tempo stesso investire molto sui giovani». «Diamo loro fiducia – chiede il Capo dello Stato -, diamo loro occasioni di lavoro correttamente retribuito» e «favoriamo il formarsi di nuove famiglie». «Dobbiamo riporre fiducia nelle famiglie italiane», su cui «grava il peso maggiore degli squilibri sociali», dice ancora il Presidente. «Fornire sostegno alle famiglie vuol dire fare in modo che possano realizzare i loro progetti di vita» e «che i loro valori – il dialogo, il dono di sé, l’aiuto reciproco – si diffondano nell’intera società rafforzandone il senso civico». Perché «quella del civismo, del rispetto delle esigenze degli altri, del rispetto della cosa pubblica – afferma Mattarella – è una virtù da coltivare insieme».