Sarebbero 90 mila, tra morti e feriti, le vittime che fin qui la Russia ha sacrificato nel conflitto, e 19.935 le persone fermate per iniziative di protesta. Parla il direttore di «Novaya Gazeta Europa»
di Sarah
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Agensir
La mobilitazione parziale dei 300 mila è arrivata a quota 220 mila. Vladimir Putin ha detto che sarà completata tra due settimane. Ma già arrivano alle famiglie le notifiche della morte di coloro che sono stati mandati in fretta e furia al fronte: vengono riconosciuti come “eroi” dal regime. Secondo Important Stories, testata indipendente russa specializzata in giornalismo investigativo, sarebbero 90 mila, tra i morti e i feriti, le persone che fin qui la Russia ha sacrificato per la guerra. E secondo il calcolo che la ong Ovd-Info sta tenendo dal 24 febbraio scorso, sarebbero 19.935 le persone fermate in Russia per iniziative di protesta contro la guerra.
La repressione non si ferma, mentre la dissidenza denuncia anche tanti casi di delazione. «La nostra esperienza dimostra che la democrazia e la libertà di parola sono davvero importanti, perché può succedere che un Paese precipiti nella stessa situazione in cui è la Russia oggi ed è davvero terribile», afferma il direttore di Novaya Gazeta Europa Kirill Martynov, alla fine di una conversazione sulla situazione della Russia.
Che analisi fa lei della Russia oggi?
È una situazione molto fragile perché le autorità e Putin stesso ha distrutto il contratto sociale che esisteva da decenni. Molti fatti offrono un’immagine molto cupa. Per esempio solo pochi giorni fa, una delle più famose università russe, la scuola superiore di economia di Perm ha chiuso il programma di master in Digital Humanities a causa della posizione contro la guerra che la sua responsabile Dinara Gagarina ha espresso sui social media. Decine e decine di fatti simili ci mostrano come la società venga distrutta insieme alla scienza, l’istruzione, le istituzioni educative, le ong, le associazioni per i diritti umani e così via. E al momento è praticamente impossibile stabilizzare la situazione perché c’è un livello molto alto di violenza, a partire da quella domestica. E sarà sempre peggio perché a mano a mano che le persone tornano dalla guerra la violenza crescerà ulteriormente. Abbiamo anche un alto livello di azioni illegali da parte delle autorità che sostanzialmente fanno tutto quello che vogliono, e un alto livello di corruzione. Non so se ci siano ragioni per pensare che il regime di Putin possa crollare presto, ma allo stesso tempo è difficile capire come le persone possano continuare a vivere le vite ordinarie in questa situazione.
Prospettive?
Vedo due possibilità: che vengano imposte regole stabili per la società, tali per cui la Russia diventi per i prossimi decenni un Iran al confine dell’Unione europea; oppure che le nuove regole generino una crisi politica. E si inizino a cercare persone che siano almeno un pochino più capaci di svolgere il ruolo di Putin. Magari tra qualche mese vedremo tentativi per un nuovo inizio.
Quanto forti sono gli oppositori della guerra o di Putin? Avranno possibilità di successo?
Putin ha preparato per decenni questo panorama e non ci sono più istituzioni formali o informali che funzionino. Sono rimasti piccoli gruppi di persone, che nonostante la paura cercano di immaginare giorno per giorno che cosa possono fare: se possono opporsi alla guerra stando nel Paese o se devono cercare di lasciarlo. Non ci sono progetti politici comuni, dato che i media e l’opposizione politiche sono stati distrutti già prima della guerra o nei primi mesi dopo l’attacco. Io continuo a pensare che sia possibile trovare attorno a Putin gente scontenta della situazione. E c’è solo una possibilità per cambiare la situazione dall’interno: un’unione di persone dal basso, insieme con le personalità che non vogliono più Putin.
Lei ha scritto qualche giorno fa che Putin sta perdendo la guerra: la gente in Russia la pensa come lei?
La gente normale, quella che non è stata arruolata continua a pensare che tutto vada più o meno bene e che ci sia ancora una possibilità di vittoria. Ma le persone che sono state in guerra, o hanno visto che cosa succede sui campi di battaglia o nel contesto della mobilitazione militare o chi vive ai confini, come a Belgorod, queste persone hanno tanti dubbi. I morti nel territorio della Federazione russa suscitano sempre più domande. E nessuno crede che ci sarà un lieto fine per la Federazione russa. Ma tutto dipende dalle connessioni che le singole persone hanno con la guerra. Secondo gli osservatori internazionali il morale delle truppe russe è molto basso e credo dipenda dal fatto che nessuno riesce a immaginare come sia possibile vincere.
In tutto questo, la notizia del premio Nobel all’ong Memorial a che cosa può servire?
Il premio per Memorial significa avere ancora la possibilità di resistere e lavorare, permette di continuare a ricevere sostegno dalle persone in Russia, così come dalle organizzazioni internazionali e dai media di altri Paesi. È molto rincuorante. Credo sia stato difficile decidere di conferire il premio a organizzazioni russe, ucraine e bielorusse contemporaneamente, ma penso sia stato molto corretto. Sono felice che i colleghi ucraini nelle loro dichiarazioni abbiano fatto riferimento agli altri due vincitori come preziosi amici e colleghi. Questo è più importante dei nostri passaporti: ci sono valori comuni.
L’Europa e il mondo stanno facendo abbastanza in questa situazione?
Il presidente Putin e l’esercito russo hanno creato una situazione che non lascia possibilità se non difendere le persone in Ucraina. Penso che in questa situazione l’Europa stia facendo molto meglio di quanto potessimo immaginare. Forse è tempo di chiederci se c’è ancora spazio per la tolleranza verso coloro che hanno iniziato la guerra e quali politici sostengono ancora Putin dall’Europa. È tempo di investigare il percorso che fa il denaro russo verso l’Europa, di smettere di fare fortuna con il denaro delle dittature.
Il sostegno alla dissidenza è sufficiente?
Riceviamo tantissima solidarietà da colleghi giornalisti, ong, anche governi europei, ma capiamo anche che l’Europa non era pronta a un simile conflitto. La decisione semplicistica di considerare un pericolo e una minaccia chiunque abbia un passaporto russo è assolutamente comprensibile, perché ovviamente se ci fossero milioni di turisti russi in Europa sarebbe un pericolo, soprattutto per i Paesi più piccoli. Allo stesso tempo credo servirebbero delle regole speciali per questo momento straordinario e valutare le persone non solo in base al passaporto. Sono preoccupato per gli studenti russi, per esempio, perché strategicamente penso sarebbe meglio ricevessero la loro istruzione in un Paese europeo. Bisognerebbe discuterne e arrivare ad accordi politici a beneficio delle persone che sono vittime di questa guerra in Russia.
Se il regime di Putin un giorno finirà, lei che cosa farà?
Tornerò in Russia, il giorno stesso.