Da www.ilsussidario.net riprendiamo alcuni passaggi del commento del sociologo sulle rivendicazioni in merito alle unioni omosessuali
La parola io/ questo dolce monosillabo innocente/ è fatale che diventi dilagante/ nella logica del mondo occidentale/ forse è l’ultimo peccato originale. Con questa citazione di Giorgio Gaber si conclude il commento di Mauro Magatti, preside della Facoltà di Sociologia all’Università Cattolica, sulle unioni omosessuali, on line oggi su www.ilsussidiario.net
Le rivendicazioni in merito alle unioni omosessuali, secondo Magatti, si fondano sul principio della «differenza individualistica», in base al quale «siamo singoli individui e ciascuno, autonomamente, decide per se stesso ciò che ritiene giusto, dato che non si riconosce alcun tipo di autorità esterna che possa in qualche modo vincolare la volontà individuale». Un modo di pensare che in questi anni «ha guadagnato molti consensi. A destra come a sinistra», e che, applicato anche alla famiglia, porta a una conclusione legislativa: «Per non essere discriminatoria, la legge non può che prendere atto della realtà, equiparando le diverse forme di unione».
Magatti registra come, curiosamente, «chi rivendica una differenza ambisca poi all’omologazione al modello tradizionale». Così, «chi chiede il “matrimonio gay”, nel momento in cui vuole affermare una differenza, al tempo stesso la nega: noi diversi, come tutti gli altri!».
L’opinione del sociologo, invece, è che, proprio per rispettare le differenze, sia giusto continuare a riconoscere nello spazio pubblico «la specificità del matrimonio eterosessuale come unica forma sociale che è in grado di svolgere contemporaneamente una duplice funzione: quella di costruire un sistema complesso, flessibile, ma solido, di legami intergenerazionali e quella di stabilire una forma affettivo-sessuale equilibrata, paritaria e stabile». Ciò non esclude «altre forme che regolano questi aspetti», ma afferma «la primazia, l’insostituibilità e la non equivalenza di quella straordinaria forma che è la famiglia cosiddetta naturale, basata sulla dualità maschio-femmina e sul paradigma della relazione tra alterità, dell’unione nella differenza».
Riferendosi alla citata «differenza individualistica», Magatti sottolinea poi alcune responsabilità culturali dell’Occidente, che ha perso «il senso tanto del passato quanto quello del futuro». In questo modo, da una parte, «si pensa di poter liquidare una istituzione come quella familiare senza pagarne il costo» e, dall’altra, si smarrisce uno dei valori chiave della famiglia: «Riconoscerci dentro una storia che ci ha fatto venire al mondo e che ci chiede a nostra volta di restituire il debito alle generazioni future, mediante l’atto straordinario della genitorialità, che non è mai né individualistico – si è sempre e comunque in due -, né transeunte, per cui si rimane sempre genitori».
Questo, per Magatti, è «il nocciolo della questione»: «La nostra soggettività, così preziosa e irriducibile, si da sempre in rapporto ad altro, a una realtà che siamo invitati a riconoscere e ad accogliere per poter diventare veramente noi stessi». Una visione delle cose «che la tradizione cattolica difende orgogliosamente» e che confligge radicalmente con la «differenza individualistica contemporanea», figlia della «onnipotenza tecnica, per cui tutto ciò che si può fare va ritenuto moralmente lecito» e della «onnipotenza soggettivistica, per cui ognuno deve realizzare se stesso nella assoluta (o presunta tale) libertà».