Secondo il sociologo della Cattolica, inserire le dinamiche creative all’interno di questo contesto è una delle basi della “generatività sociale”, di cui sabato 2 dicembre a Milano è in programma la terza Giornata
di Annamaria
BRACCINI
Interrogarsi sulla generatività sociale e sulle sue incidenze per la comunità, guardando al futuro nella consapevolezza di un passato che non può essere dimenticato. Ma anzitutto cosa significa questa espressione – generatività sociale – che, associando due termini (ciascuno in sé chiaro), ha creato un modello di interpretazione della realtà alla luce dei tanti mutamenti che stanno segnando la vita di tutti? Un nuovo modo di pensare e di agire personale e collettivo, che racconta la possibilità di un tipo di azione socialmente orientata, creativa, connettiva, produttiva e responsabile, capace di impattare positivamente sulle forme del produrre, dell’innovare, dell’abitare e del prendersi cura? Lo chiediamo a Mauro Magatti, docente di Sociologia della Globalizzazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che da tempo riflette sui trends in atto. Anche nell’ottica della terza Giornata della Generatività sociale, in programma a Milano sabato 2 dicembre. «Per generatività sociale intendiamo quella dinamica che si produce nella società, attraverso, per così dire, tre movimenti – spiega -. In primis, il momento imprenditivo, ossia relativo al creare qualcosa di nuovo, al mettere al mondo ciò che desideriamo e che amiamo».
A questo primo passo cosa segue?
Vi è un secondo movimento che identifichiamo nel prendersi cura e nel fare diventare grande quanto abbiamo creato e generato. Infine, il terzo step: quello del lasciarlo andare, del consegnare questo “figlio” a ciò che sta “al di là di noi”. È una dinamica che abbiamo individuato in questi anni, di cui si parla poco, ma di cui si sta cominciando ad approfondire sempre più il significato.
In che senso?
La generatività sociale vuole sottolineare il fatto che, in ogni nostra azione, si parte da un’iniziativa personale, ma si va poi a coinvolgere altri, andando al di là di chi comincia. Pensiamo per esempio ai genitori, che mettono al mondo un bambino. Il tema che tratteremo quest’anno ci dice anche che questa nostra capacità di “mettere al mondo”, di prendere l’iniziativa, in realtà, sta sempre dentro una storia. Infatti si è sempre figli di qualcuno che è prima di noi e, come sappiamo bene nelle nostre vicende imprenditoriali, associative e familiari, sempre «il nostro futuro è di già nascosto nel nostro passato».
Non a caso il titolo del convegno di sabato riprende la famosa frase di Fernando Pessoa, «Hanno tutti, come me, il futuro nel passato»…
Sì, proprio perché noi viviamo in un tempo nel quale sembra che gli individui debbano essere e si percepiscano quali creatori di una novità assoluta, di un’innovazione che deve spingere sempre avanti, che continuamente taglia le radici con ciò che è venuto e viene necessariamente prima. La generatività, invece, sottolinea la dimensione della creatività, ma insiste sulla realtà che tutto questo avviene dentro un processo e un’alleanza tra le generazioni.
Infatti una delle grandi questioni del nostro tempo è quella intergenerazionale, di un rapporto che appare sempre più in crisi tra le diverse generazioni, che non riescono o non vogliono più dialogare e confrontarsi…
Non c’è dubbio. Dobbiamo essere consapevoli che anche quando parliamo di debito o di crisi demografica, proprio l’alleanza tra le generazioni è uno dei punti deboli, che abbiamo – vorrei dire – “perso” e che dobbiamo assolutamente recuperare.