Un Paese che fa sempre meno figli, un popolo che si avvia ad avere meno di 400 mila nati all’anno a fronte di oltre 700 mila decessi. E cresce sempre più il tasso di sostituzione (il rapporto tra numero di figli per donna) necessario per frenare questa emorragia

di Domenico Delle Foglie
Agensir

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Noi lo sapevamo di vivere in un Paese in pieno sboom demografico, ma che potessimo diventare “osservati speciali” delle Nazioni Unite non potevamo immaginarlo. E il fatto che siamo in compagnia di due giganti come la Cina e il Giappone, non può in alcun modo consolarci. Anzi!

Sì, siamo un Paese invecchiato e che di figli ne fa sempre meno. Un popolo che si avvia, a tappe forzate, ad avere meno di 400 mila nati all’anno a fronte di oltre 700 mila decessi. Con un saldo negativo fra vivi e morti che, come precisano i demografi, fa crescere sempre più il tasso di sostituzione (il rapporto tra numero di figli per donna) necessario per frenare questa emorragia. Ecco la nuda realtà con la quale dobbiamo fare i conti e che ci viene ricordata da Population Division, il Dipartimento dell’Onu che si occupa di studiare le tendenze future della popolazione nelle diverse aree geografiche e territoriali, oltre che in ciascun Paese.

I dati Onu

Che l’Italia sia messa male, anzi malissimo, lo testimonia un dato tendenziale fornito dalle Nazioni Unite: se nel 2019 il Dipartimento prevedeva che nel 2100 l’Italia avrebbe avuto 40 milioni di abitanti (rispetto ai quasi 59 milioni di oggi), adesso la previsione alla stessa data è di 36,9 milioni. Una perdita ulteriore di popolazione, stimata in quasi quattro milioni.

Per essere ancora più chiari: a fine secolo, se non ci sarà una netta inversione di marcia, la popolazione italiana avrà addirittura 22 milioni di persone in meno rispetto a oggi. Dunque, un disastro annunciato.

Non meno preoccupanti sono i dati che vengono da Cina e Giappone.A Pechino la questione demografica è già diventata un’emergenza sociale e produttiva, al punto da spingere il governo a inventare mille modi per incentivare le gravidanze. Non solo sussidi statali per il terzo figlio, ma aiuti di ogni genere, dai servizi pubblici (finanziata e avviata la costruzione di 4 milioni di asili nido) alle facilitazioni per le donne sui posti di lavoro, ai sussidi per il settore privato (conciliazione famiglia-lavoro)

A Tokio fanno discutere i dati sulla natalità del 2021, giunti al minimo storico con poco più di 800mila nuovi nati. Il che fa dire al governo che il problema della bassa natalità “potrebbe destabilizzare le fondamenta della società e dell’economia del Paese”. Perciò è “una priorità dell’agenda di governo”. Inoltre il Giappone ha un altro record con il quale fare i conti, ovvero la più alta aspettava di vita al mondo.

Problema epocale

Dunque, tre Paesi completamente diversi e a lontanissime latitudini che si ritrovano però a fare i conti con un problema epocale che può segnarne profondamente il futuro.

Per quanto riguarda l’Italia le statistiche restituiscono l’immagine di un Paese progressivamente spopolato (in particolare al Sud dove si prevede entro il 2031 un calo brusco della popolazione del 5% a fronte dell’1% al Nord) e profondamente invecchiato. Una miscela esplosiva che certamente farebbe gioire i tanti sostenitori delle teorie malthusiane. Fra questi, purtroppo, tanti giovani e giovanissimi, sempre più innamorati dell’idea (tutta ancora da dimostrare) che il pianeta non possa più sopportare un’ulteriore crescita demografica e che dunque sia quasi una scelta etica non mettere al mondo nuove creature umane.

Proprio la lezione che viene dalla Cina e dal Giappone, che pure hanno già avviato politiche pubbliche per la natalità senza aver ancora raccolto risultati soddisfacenti, ci dovrebbe indurre a ripensare la nostra agenda di governo. Ormai, pochi giorni dopo il voto, non possiamo più limitarci a commentare le ennesime, catastrofiche, proiezioni demografiche sul nostro Paese. È tempo che la politica dica chiaramente che quello demografico è il problema più grande del nostro Paese ma soprattutto indichi la soluzione al problema perché la questione essenziale della natalità non può più essere sottovalutata.

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