L’analisi di Luca Comodo, direttore della divisione ricerche politico-sociali dell’istituto presieduto da Nando Pagnoncelli: «Sentirsi marginali è un elemento di insofferenza non più solo dei ceti popolarissimi, ma anche dei settori medio/alti»

di Pino NARDI

elezioni

Cambia l’identikit elettorale dei partiti dopo il clamoroso esito del voto del 4 marzo; l’alto prezzo della sconfitta del Pd; il ridimensionamento, se non il tramonto, della leadership berlusconiana; dove è andato il voto cattolico. Ne parliamo con Luca Comodo, direttore della divisione ricerche politico-sociali di Ipsos, istituto presieduto da Nando Pagnoncelli.

Qual è la fotografia della composizione sociale delle principali forze politiche emersa dal voto?
Il primo tema è il Partito democratico: si è smagrito, ha perso pezzi di consenso nelle sue aree tradizionali, prevalentemente nei ceti medi, dove aveva una forza molto consistente, e tra i dipendenti pubblici adesso sostanzialmente spariti. Rimangono due aree: una più forte, il classico elettorato popolare (età avanzata e titoli di studio medio/bassi) inerziale che continua a votare per il Pd e una presenza speculare tra i ceti elevati (imprenditori, dirigenti e professionisti) e pensionati. Bisogna fare attenzione però, anche tra i ceti elevati il primo partito rimane il Movimento 5 Stelle. Il Pd è primo solo tra i pensionati.

Un voto più composito quello dei 5 Stelle e anche della Lega…
Il M5S ha avuto un consenso trasversale: è il primo partito quasi dovunque. La Lega è abbastanza trasversale, ha un consenso più elevato nei titoli di studio bassi e in due segmenti più rilevanti che sono il lavoro autonomo e gli operai. Sono caratterizzazioni classiche del voto leghista, ma cresciuti in maniera particolare. Mi colpisce inoltre il consenso molto rilevante o superiore alla media anche tra le casalinghe, che è nuovo, perché normalmente votavano per Forza Italia. Quindi anche la Lega ha avuto grandi capacità espansive non solo territoriali, ma anche sociali: sembra avere in parte assorbito il blocco storico caratteristico del voto per Forza Italia, che invece si è smagrita e non ha più consensi forti con l’unica eccezione dei disoccupati che si sono fatti attrarre dalle promesse di Berlusconi.

Una lettura diversa dell’elettorato rispetto ai commenti dei primi giorni dopo il voto…
Infatti, mi pare che la lettura sui perdenti della globalizzazione che votano Movimento 5 Stelle e Lega non sia vera, perché dovremmo avere più di tre quarti del Paese che si considera un diseredato, cosa che non è. Anche in zone ricche abbiamo un voto importantissimo per la Lega, in particolare al Nord, ma anche per il M5S. Quindi, la lettura è un po’ diversa: è la marginalizzazione dell’Occidente, il sentirsi messi all’angolo, il non sentirsi protagonisti, che è un elemento di insofferenza non più solo dei ceti popolarissimi, ma si è diffuso anche in settori medio/alti.

Sui flussi elettorali è notevole il passaggio di elettorato da Pd a M5S?
Il Pd ha lasciato molto sul terreno: solo il 43% degli elettori della coalizione Bersani 2013 ha votato Pd, per un quinto si sono astenuti e poi sono andati in misura non irrilevante 14% sul M5S, pochi su Liberi e uguali, che ha avuto un risultato mortificante.

Ma questo elettorato può essere recuperato, oppure è un percorso senza ritorno?
È difficilissimo dire se è senza ritorno. Siamo in una situazione di mobilità elettorale molto elevata. Possiamo dire con relativa tranquillità che il centrosinistra non recupera rilanciando quello che è stato, ma riposizionandosi rispetto ad alcuni temi centrali che sono inevitabili: la consapevolezza delle conseguenze negative alla globalizzazione. Perché il centrosinistra è diventato sempre più l’alfiere della globalizzazione, cosmopolita. Milano, per intenderci.

Dove vince nel centro storico…
Esatto: un elettorato molto globalizzato, di ceto medio/alto, che parla inglese. Gli altri, che sono pure connessi e che parlano inglese, vivono però la globalizzazione più come problema che come occasione. Se il centrosinistra è capace di capire questo e di riposizionarsi non diventando antiglobale, ma assumendo gli elementi di difficoltà che la globalizzazione ha prodotto, può riproporsi come interlocutore credibile dell’elettorato.

La vittoria al Sud del M5S può essere letta anche come forma moderna di neo-clientelismo come attesta la vicenda del Reddito di cittadinanza?

Certo, nel Sud questo ha contato molto. C’è un elettorato che cambia posizione in maniera molto più veloce, rispetto al Nord. Lì hanno contato queste proposte, ma anche un posizionamento chiaramente al di fuori dell’area della corruzione e del malaffare che ha caratterizzato come percezione il M5S.

Nel centrodestra si parla di un’Opa della Lega con un’egemonia di Salvini. È la fine della leadership di Berlusconi?
Credo che la posizione netta di Berlusconi come leader sia venuta a conclusione, è un percorso chiuso senza ombra di dubbio con questa sconfitta finale al suo interno, nel suo elettorato. Salvini ha colto molto bene una serie di aspetti, a partire da quello securitario (immigrati-sicurezza) a quello della protezione sociale proponendo per esempio l’abolizione della Legge Fornero, intercettando il segmento dei lavoratori maturi che hanno visto cambiare i propri percorsi di vita in corsa con un disagio profondo. Tuttavia è difficile dire che questo sarà un risultato definitivo, consolidato, anche se è probabile che Salvini continui a mantenere un proprio ampio consenso.

Come si è distribuito il voto cattolico?
Il consenso per la Lega è assai rilevante, è superiore al Pd anche nei cattolici che hanno una frequenza alla Messa saltuaria o mensile. I cattolici impegnati, quelli che vanno a Messa tutte le settimane, o non ci vanno mai votano un po’ di più per il Pd, sia pur non molto, perché anche qui il primo partito è il M5S.

Ci sono tre minoranze che sono in Parlamento, quindi nessuno ha i voti per governare. Secondo lei il Pd deve appoggiare M5S o il centrodestra oppure ribadire la scelta dell’opposizione?
Dal punto di vista del rapporto con i propri elettori non c’è ombra di dubbio che deve rimanere all’opposizione, perché è questo che si aspettano. Il punto è che tutti gli elettori dei diversi schieramenti si aspettano che il proprio partito o coalizione di riferimento rimanga all’opposizione. Questo è il grande problema.

Frutto di questa legge elettorale…
Di questa disgraziata legge elettorale. Vedo molto complicata la situazione. Un governo del Presidente sappiamo che non è possibile, perché in Italia si possono avere solo governi parlamentari. Però immagino un governo di scopo con alcuni obiettivi condivisi (la manovra che chiede l’Europa di 3,5-4 miliardi; il cambiamento della legge elettorale che dia qualche spazio in più di governabilità). Non vedo altro al momento.

 

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