Dalla formazione professionale all’occupazione, dalla tutela dei minori alla conciliazione famiglia-lavoro, dal welfare alle politiche abitative. Adottato, il 17 novembre scorso, il “Pilastro sociale”
di Gianni
BORSA
Venti principi «per sostenere il buon funzionamento e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale»; un unico percorso di convergenza «verso migliori condizioni di vita e di lavoro per tutti in Europa». Il “Pilastro sociale” dell’Unione europea, presentato in aprile dalla Commissione, valutato positivamente dal Parlamento, varato dal Consiglio dei ministri Ue a ottobre, ha finalmente ricevuto il “battesimo” con il summit di Göteborg lo scorso 17 novembre, con un ampio confronto tra leader dei 27 Paesi membri, i responsabili delle istituzioni Ue, le parti sociali. Ma qual è l’origine del “Pilastro sociale”? Se ne sentiva la mancanza? Quali i contenuti e le possibili ricadute?
Il “Pilastro europeo dei diritti sociali” (questo il titolo esatto, che nell’originale inglese suona European pillar of social rights) è uno strumento per riconoscere e affrontare i cambiamenti in atto a livello sociale, demografico, economico, professionale; intende creare i presupposti e accompagnare il cammino dei Paesi Ue verso una vera convergenza in tale ambito, così che ogni cittadino dell’Unione – collocato al centro dell’attenzione -, qualunque passaporto abbia in tasca e ovunque viva, abbia eguali diritti, tutele e opportunità; esso porta nuovamente l’attenzione sui cittadini e le realtà sociali, dopo anni di maggiore impegno per l’integrazione del mercato unico e della moneta; considera le emergenze emerse negli ultimi anni, anche in relazione alla crisi economica; necessita, dopo la sua proclamazione formale, di nuovi passi legislativi e politici per diventare realtà nella vita di ogni giorno. Si tratta in sostanza di un “documento programmatico” che ribadisce alcuni diritti già presenti nel cosiddetto “acquis comunitario” (il patrimonio di valori e norme condivisi in sede Ue, in particolare la Carta dei diritti fondamentali), integrati in modo da tener conto del mutato contesto storico e sociale.
Venti capitoli
I venti capitoli in cui si esprime il “Pilastro sociale” si articolano in tre categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro; condizioni di lavoro eque; protezione e inclusione sociali. La gamma dei temi affrontati è amplissima in ragione dell’articolazione e della complessità sociale attuale e per la diversità delle condizioni in cui vivono i 500 milioni di cittadini europei nei 27 Paesi dell’Unione, dal Mediterraneo al Baltico, dall’Oceano Atlantico al Mar Nero. Tra i capitoli figurano fra l’altro: educazione e formazione permanente (ogni principio enunciato è poi declinato in impegni e azioni coerenti); uguaglianza fra donne e uomini; sostegno attivo al lavoro; salari adeguati a una vita dignitosa e uguali a parità di mansioni e responsabilità; dialogo sociale e valorizzazione delle rappresentanze dei lavoratori; ambiente di lavoro sicuro e sano; servizi per la maternità e l’infanzia; sostegno ai lavoratori che perdono l’impiego; diritto e accesso alla pensione; tutela della salute; politiche della casa. Si tratta di settori per lo più di competenza politica degli Stati membri e di ambito nazionale. Ma all’Ue viene in questo modo affidato il compito di definire il quadro generale di tali diritti e la direzione di marcia da intraprendere per renderli effettivi. La stessa Ue ha inoltre una parte di competenze proprie per agire in modo da dare attuazione ai principi enunciati. Accanto al “Pilastro” procedono altresì varie iniziative, legislative e non legislative, riguardanti, ad esempio, l’equilibrio tra attività professionale e vita privata (orari di lavoro, congedo parentale…), l’accesso all’istruzione, il rafforzamento della protezione sociale.
Dalle parole ai fatti
Come ogni documento ufficiale o “carta fondamentale” o codice, il “Pilastro sociale”, adottato da Parlamento, Consiglio e Commissione Ue il 17 novembre, deve ora passare dalle parole ai fatti, come hanno sottolineato più voci presenti al summit a Göteborg e come hanno ribadito in un comunicato congiunto dal sapore ecumenico la Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) e il Consiglio delle Chiese. Per comprendere il “linguaggio” di tale documento, occorre entrare nel dettaglio dei venti principi enunciati. Il primo, ancora a titolo d’esempio, si riferisce a “Istruzione, formazione e apprendimento permanente”: «Ogni persona – recita – ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro». Il terzo, sulle “Pari opportunità”: «A prescindere da sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, ogni persona ha diritto alla parità di trattamento e di opportunità in materia di occupazione, protezione sociale, istruzione e accesso a beni e servizi disponibili al pubblico. Sono promosse le pari opportunità dei gruppi sottorappresentati». Il nono principio, molto interessante, attiene all’“Equilibrio tra attività professionale e vita familiare”: «I genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato».
Minori, disabili, senzatetto
Il punto 11, intitolato “Assistenza all’infanzia e sostegno ai minori”, afferma: «I bambini hanno diritto all’educazione e cura della prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità. I minori hanno il diritto di essere protetti dalla povertà. I bambini provenienti da contesti svantaggiati hanno diritto a misure specifiche tese a promuovere le pari opportunità». Il numero 17, “Inclusione delle persone con disabilità”: «Le persone con disabilità – afferma – hanno diritto a un sostegno al reddito che garantisca una vita dignitosa, a servizi che consentano loro di partecipare al mercato del lavoro e alla società e a un ambiente di lavoro adeguato alle loro esigenze». “Alloggi e assistenza per i senzatetto” porta il numero 19 e dichiara: «Le persone in stato di bisogno hanno diritto di avere accesso ad alloggi sociali o all’assistenza abitativa di qualità; le persone vulnerabili hanno diritto a un’assistenza e a una protezione adeguate contro lo sgombero forzato; ai senzatetto sono forniti alloggi e servizi adeguati al fine di promuoverne l’inclusione sociale».