Organizzato da Caritas Ambrosiana in collaborazione con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea, esaminerà le politiche Ue in tema di migrazione e le loro ricadute sulle persone. Lo presenta Oliviero Forti, responsabile dell'Ufficio Immigrazione di Caritas Italiana
di Claudio
URBANO
La realizzazione di una pace durevole, la libertà, la solidarietà, la sicurezza. I valori fondanti dell’Europa sembrano ora messi in discussione dall’incapacità dell’Unione di trovare un accordo sulla gestione comune dei flussi migratori, mentre aumentano sentimenti xenofobi e razzisti. Se ne parlerà in occasione del convegno «Le politiche Ue in tema di migrazione e asilo: quali ricadute sulle persone», che Caritas Ambrosiana organizza in collaborazione con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea, in programma lunedì 9 aprile, dalle 9 alle 13.30, presso il Salone Monsignor Bicchierai della sede Caritas di Milano (via San Bernardino 4).
Il responsabile dell’Ufficio Immigrazione di Caritas Italiana Oliviero Forti, tra i relatori, fotografa la situazione.
L’Unione europea si prepara a varare una nuova Agenda sull’immigrazione entro giugno. Come giudica finora l’atteggiamento dei Paesi e dell’Unione?
Abbiamo assistito ad un atteggiamento per certi versi ondivago. Da una parte c’è stato il tentativo di attuare politiche improntate alla corresponsabilità tra i Paesi membri. Già nel 2015 infatti la cosiddetta Agenda europea sull’immigrazione puntava a una redistribuzione dei rifugiati tra i Paesi dell’Unione, ma l’esito è stato distante da quello che ci si attendeva: non solo i numeri preventivati non sono stati raggiunti, ma solo pochi Paesi – cito per esempio Germania, Italia e Svezia – hanno onorato gli impegni in agenda. In altri casi c’è stata un’apertura molto limitata, mentre i Paesi del cosiddetto “blocco di Visegrad”, ovvero Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Ungheria e Polonia hanno opposto una chiusura totale all’ipotesi di ospitare i rifugiati. Ragioni di carattere politico hanno però sconsigliato di imporre sanzioni per il loro comportamento. Dall’altro lato non bisogna dimenticare che l’Europa ha sostenuto politiche, come gli accordi con la Turchia e con la Libia, che come Caritas riteniamo assolutamente lesive dei diritti dei migranti. Infine c’è l’accordo col Niger, nato con la prospettiva di esternalizzare le frontiere dell’Europa, rendendo così più sostenibile la gestione dei flussi migratori. Ma anche in questo caso abbiamo registrato molta confusione. Il trasferimento dei rifugiati dalla Libia al Niger sembrava cosa fatta, ma il passaggio successivo di un loro ricollocamento in l’Europa è venuto meno, perché nessun Paese si è detto disponibile a questo processo.
Qual è stata invece la linea dell’Italia?
Il comportamento dell’Italia, se è criticabile sull’accordo con la Libia, che ritengo non andasse fatto perché quella di Tripoli non è una situazione sicura e affidabile, dall’altra ha però segnato il passo rispetto agli altri Paesi permettendo, anche grazie all’impegno di Caritas e della Chiesa italiana, di evacuare dalla Libia 300 persone, che sono ora in Italia in condizioni di tutela. Da questo punto di vista ci siamo distinti, non tanto sui numeri che sono piccola cosa, ma segnando una linea. La Chiesa italiana si sta impegnando per l’apertura di canali legali e sicuri di ingresso, che noi crediamo siano attualmente l’unica misura sostenibile per governare i flussi. In questo senso ci deve essere una sorta di realpolitik, con soluzioni che siano realmente implementabili e non fatte solo di slogan. Bisogna individuare possibili soluzioni e provare a metterle in campo.
Qual è il richiamo che come Caritas volete fare alla società o alla politica?
Undici Caritas europee, tra cui quella italiana, hanno lanciato il progetto M.In.D. (Migration Interconnectedness Development), finanziato dall’Unione europea, con cui vogliamo sensibilizzare i nostri territori sul legame tra migrazione e sviluppo. L’obiettivo è immaginare come il fenomeno dell’immigrazione possa essere un’occasione di sviluppo per tutti, non solo per chi si sposta, ma anche per le comunità che accolgono. La nostra voce ha un carattere squisitamente umanitario, ma questo progetto ha una forte valenza politica. Dobbiamo abituarci a parlare seriamente ai nostri territori di certi temi, e dare gli strumenti per comprenderli.