Le “Previsioni” dell’Esecutivo comunitario mostrano un Pil in crescita. Ora è tempo di creare occupazione, ridare speranza ai giovani, consolidare la crescita con riforme ambiziose
di Gianni BORSA
Tutti i numeri con il segno positivo: quindi «l’economia si rimette progressivamente in marcia». La Commissione europea ha presentato la scorsa settimana, con toni cautamente ottimistici, le “Previsioni d’autunno”, documento che fa il punto della situazione – mediante alcuni indicatori “macro” – sul sistema produttivo e commerciale dei 28 Paesi dell’Unione europea (Ue), così pure sul Prodotto interno lordo (Pil), i bilanci statali, il mercato del lavoro. Uno strumento per monitorare l’Eurozona e per verificare se tutti gli Stati membri tengono fede agli impegni assunti per quanto attiene la stabilità economica e finanziaria della “casa comune” e l’attuazione di riforme volte a rafforzare il mercato unico e accrescerne la competitività rispetto alle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), alle economie emergenti e alle altre regioni del mondo.
In effetti il commissario Pierre Moscovici ha potuto illustrare una serie di dati che lasciano ben sperare. Premettendo che le 28 economie Ue si muovono a ritmi diversi tra loro – c’è un abisso, per fare degli esempi, tra Regno Unito e Grecia, tra Germania e Italia, tra Polonia e Portogallo -, si registra in effetti un Pil con segno “più” sia quest’anno che nel 2016 e nel 2017 (le “Previsioni” spaziano su un arco temporale triennale); crescono gli investimenti; decresce lentamente la disoccupazione e questo fa aumentare il reddito disponibile delle famiglie, così da rianimare i consumi; ugualmente in ripresa l’inflazione (segnale anche questo, entro certi limiti, di un’economia in movimento); i deficit annuali degli Stati sono pressoché sotto controllo, mentre i debiti nazionali sembrano aver arrestato la crescita esponenziale registratasi negli anni della crisi più nera, ovvero dal 2008 al 2013.
Volgendo lo sguardo alle realtà nazionali si osserva come la Germania continui a fare da motore dell’Europa, con una crescita appena inferiore al 2% annuo (mentre gli Stati Uniti sono stabilmente sopra il 2,7%), il Regno Unito prosegue la marcia al di sopra del 2%; Francia e Italia hanno di fronte una prospettiva positiva nel triennio. Recuperano, finalmente, anche i Paesi maggiormente segnati dalla recessione, ovvero Grecia, Spagna, Portogallo. L’Irlanda, che era stata messa in ginocchio dalla “crisi del debito sovrano”, chiuderà il 2015 con una crescita del Pil del 6%; la Polonia è coerente con un +3,5%; bene, o benino, i Paesi del Nord (Scandinavia, Repubbliche baltiche) e dell’Est (pure la Croazia rialza la testa).
Peraltro i problemi non mancano. A partire dagli appena accennati squilibri interni all’Ue e, a maggior ragione, alla zona della moneta unica (19 Stati), per la cui solidità occorrerebbero performance bilanciate. Inoltre i vantaggi competitivi finora rappresentati dal modesto prezzo del petrolio e da un euro “debole” (che spinge le esportazioni) si vanno affievolendo.
Al contempo il mappamondo presenta nuovi pericoli: talune economie emergenti crescono a ritmi rallentati (gli occhi sono puntati soprattutto sulla Cina) e l’instabilità politica di troppe aree del pianeta porta con sé nubi che si addensano anche sui sistemi economici e sugli scambi commerciali.
Il trend complessivamente favorevole deve però ora misurarsi anche in termini di vita quotidiana. La premessa di un’economia europea che esce timidamente dalla crisi non è infatti sufficiente a ridare speranza e coraggio ai 500 milioni di cittadini Ue che hanno sperimentato sulla proprio pelle, per lunghi anni, una crisi che ha sottratto milioni di posti di lavoro, ha portato in molte case povertà e sconforto, ha fatto chiudere centinaia di migliaia di imprese, ha indotto squilibrio nei sistemi bancari e nelle finanze statali. Da qui l’appello della Commissione: il lavoro svolto a livello nazionale ed europeo non è finito: occorre insistere sulle riforme, accrescere l’occupazione in un quadro produttivo ammodernato, favorire la solidità finanziaria delle famiglie, aiutare le imprese. E, ancora, è necessario investire sulla formazione e dunque sui giovani, su sistemi di welfare inclusivi, su settori economici innovativi e sostenibili sul piano sociale e ambientale, sulle energie rinnovabili… La strada, evidentemente, è ancora lunga. Ma dev’essere imboccata, senza ritardi e senza giustificazioni.