Tutto è cambiato, ma ancora non si intravedono segnali di assestamento. Oltre 564mila presi in carico dai servizi per l’impiego
di Andrea CASAVECCHIA
C’è una relazione difficile tra mondo lavorativo e giovani. I suoi frutti sono alquanto scomodi: ci sono i giovani scoraggiati, che si allontanano dal mercato, perché non riescono a trovare una strada per loro; ci sono i sotto occupati spesso assunti con qualifiche molto al di sotto del loro grado di istruzione; ci sono i precari, che saranno pian piano assorbiti dalle aziende con contratti stabili ma con tutele molto leggere, a seguito del Job Act troveranno un posto… abbastanza flessibile; ci sono i disoccupati, in Europa il tasso medio tra i giovani è intorno al 20%, con picchi che sfiorano il 40%, come in Italia.
Alcuni interventi sono stati adottati e riscuotono consenso. Si pensi che il programma nazionale “Garanzia giovani” a fine 2015 contava quasi 781mila registrazioni, di queste oltre 564mila sono state prese in carico dai servizi per l’impiego. Ci sono poi i giovani che emigrano, sono quelli che cercano lavori soddisfacenti non rintracciabili in Italia.
Il mondo della produzione è in movimento: ora alcuni esperti insistono sui “freelance” della “on demand economy”. Al suo interno però ci sono diverse sfaccettature: ci sono i liberi professionisti che possono essere coinvolti in progetti di alto design, e ci sono i “contractor”, che si mettono a disposizione con la propria macchina per trasportarti dove vuoi, come fa il tanto discusso Uber, incubo dei tassisti.
Il rapporto tra giovani e lavoro è più complicato degli altri, perché viviamo in un mondo di produzione instabile, quindi devono avviare la loro vita professionale senza punti di riferimento concreti, perché alla fin fine gli esperti non sanno dare indicazioni valide per tutti. I percorsi stanno diventando personalizzati e soluzioni a pioggia non servono.
Questo innanzitutto è un problema. Il lavoro non è tutto, ma contribuisce a fare la differenza per una buona qualità della vita. Senza un’idea di futuro lavorativo è difficile costruire un futuro personale.
Il mutamento ci dice che dietro non torneremo. Correre come Fantozzi per timbrare il cartellino in orario, e con questo raggiungere lì, con quell’atto supremo, il picco massimo dell’attività produttiva giornaliera non è poi molto soddisfacente.
Altrettanto poco soddisfacenti sono le storie di tanti, troppi giovani che raccontano una biografia frammentata e caratterizzata in tante piccole attività, che a volte si accavallano: dal commesso in un negozio all’assegnista di ricerca in Università, dal centralinista di un “call center” al praticante avvocato che poi diverrà partita Iva mono-committenza in uno studio, magari.
Se il futuro della relazione con il lavoro diventa fluido, allora il tema di una relativa stabilità è ancora più delicato, perché non è più legato al posto, ma alle relazioni, alla professionalità, a nuove tutele.