I militari bruciano gli aiuti umanitari. I presuli chiedono il rispetto dei corridoi umanitari e la tutela di chiese e monasteri dove hanno trovato rifugio gli sfollati
di Maria Chiara
BIAGIONI
È una lentissima carneficina. Hanno capito che la strategia migliore per uccidere le persone è lasciarle morire di fame e malattie nelle giungle. Per questo, oltre alle chiese e ai monasteri dove gli sfollati hanno trovato rifugio, i militari in queste ore stanno prendendo di mira gli aiuti umanitari. Sono fonti locali del Sir a lanciare questo ennesimo grido di aiuto. L’ultimo episodio è accaduto giovedì 10 giugno, nello Stato di Shan. I militari che hanno preso il potere con il golpe del 1° febbraio, hanno distrutto e bruciato gli aiuti umanitari e le forniture mediche per i rifugiati, compresa un’ambulanza. Sebbene la situazione economica del Paese sia drammatica, con generosità, alcuni donatori avevano inviato circa 80 sacchi di riso e forniture mediche per i rifugiati del villaggio di Loi Ying, nella township di Mobye, Stato meridionale di Shan. «Ma i militari hanno incendiato tutto, senza alcuna considerazione. Non esistono parole per tali azioni. Sono terribili e crudeli». In Myanmar è la stagione dei monsoni. Tra i profughi ci sono bambini e anziani. Soffrono di diarrea, raffreddore e influenza. A questa precarietà, si aggiunge l’impossibilità, a causa degli attacchi continui, a coltivare la terra e privati del lavoro agricolo, c’è grande preoccupazione per la loro sopravvivenza.
Per questo, venerdì 11 giugno, tutti i vescovi del Paese hanno unito la loro voce e hanno lanciato un appello. «Il nostro Paese sta attraversando tempi difficili e questo appello viene lanciato per motivi umanitari. Non siamo politici, siamo leader di fede, e stiamo accompagnando il nostro popolo nel suo cammino verso la dignità umana”. Anche i vescovi sono preoccupati della difficoltà a raggiungere i rifugiati e chiedono che non vengano bloccati “i corridoi umanitari nelle zone di conflitto. Migliaia di persone, soprattutto anziani e bambini, muoiono di fame nelle giungle», scrivono.
«La fame di persone innocenti è l’esperienza più straziante. Imploriamo che sia consentito un corridoio umanitario in modo da raggiungere le masse affamate ovunque si trovino. Sono nostri cittadini e hanno il diritto fondamentale al cibo e alla sicurezza».
A essere presi di mira sono anche chiese e monasteri, cristiani e buddisti, dove la gente si è rifugiata scappando dalle loro case in cerca di un luogo sicuro. Per questo i vescovi chiedono di «rispettare la sacralità di tutti i luoghi di culto. Migliaia di persone hanno trovato rifugio nelle chiese», si legge nell’appello.
«Quattro chiese a Loikaw sono state attaccate e migliaia di persone sono fuggite nella giungla. Si prega di osservare le norme internazionali sulla protezione dei santuari in tempo di guerra: chiese, pagode, monasteri, moschee, templi, incluse scuole e ospedali sono riconosciuti come luoghi di rifugio neutrali durante un conflitto. Facciamo appello affinché questi luoghi non vengano attaccati e le persone che cercano rifugio siano protette». Nell’appello i vescovi birmani chiedono a tutte le diocesi cattoliche del paese di pregare per la pace con celebrazioni di messe, recite del rosario e adorazioni eucaristiche. L’ultimo appello è a lavorare «per una pace duratura: negli ultimi sette decenni questo paese è stato in conflitto» che ha provocato «solo lacrime e dolore di persone innocenti». I vescovi implorano tutti a «investire nella pace. Nessuno ha vinto una guerra in questo Paese. È nostro dovere lavorare per la pace. Questo Paese merita di entrare a far parte della comunità delle Nazioni, mettendo il suo passato nella storia e investendo nella pace. La dignità umana è data da Dio e nessuna violenza può negare questa aspirazione delle persone. Ciò può essere ottenuto solo con mezzi pacifici. È la lezione della storia. La pace è ancora possibile. La pace è la via».