Andronick Arutyunov è presidente del sindacato indipendente “Solidarietà universitaria”, sul cui sito, pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, è apparsa una dichiarazione contro il conflitto
di Sarah
Numico
Agensir
«Prima rischiavo di essere arrestato in ragione del mio lavoro nel sindacato; adesso anche per la mia posizione rispetto alla guerra». Senza troppo girarci intorno e con grande disponibilità, parla il professore Andronick Arutyunov, docente associato dell’Istituto moscovita di fisica e tecnologia, docente alla Libera Università di Mosca e co-presidente del sindacato indipendente “Solidarietà universitaria”. Pochi giorni dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina, sul sito del sindacato nato nel 2013 è apparsa una dichiarazione contro la guerra. «Molti dei nostri colleghi ci hanno detto che era troppo morbida, che avremmo dovuto dire di più. Quelli che invece ci considerano nemici dell’umanità, non l’hanno apprezzata. È stato difficile scrivere quel testo per la situazione politica oggi, ma dire la verità è una dei primi compiti delle università». Al momento non ci sono state ripercussioni dopo quel testo, ma certamente «lo hanno letto e avranno pensato che non è una novità, perché il nostro sindacato non è troppo fedele al governo».
Dal 24 febbraio 2022, oltre al normale lavoro, il professore lavora per aiutare colleghi e studenti che hanno avuto problemi con il governo. «Sul piano formale non è cambiato molto da quel giorno, ma nella realtà molto è cambiato».
Alcuni accademici hanno lasciato il Paese, altri sono stati sospesi: come è la situazione? Ci sono numeri precisi?
Sì, molti bravi docenti e studenti sono partiti; molti sono rimasti. Non penso ci siano dei dati al momento. Gli atenei in Russia non funzionano come quelli del resto del mondo. I salari sono bassissimi (200-300 dollari) e sono un ricettacolo di gente che non sa dove altro lavorare. Questa fetta qui è certamente a favore del governo. Ma ci sono docenti in gamba, che riescono ad accedere a finanziamenti, hanno una pluralità di incarichi e impegni e loro non amano la politica russa attuale. Se un giorno ci sarà un cambio di governo, ci dovrà essere un rinnovamento anche nel campo dell’istruzione accademica, perché un Paese così grande come la Russia non può vivere senza educazione superiore efficace. Le università sono anche luoghi in cui gli studenti si rifugiano per evitare il servizio militare o perché non sanno che altro fare. Io però ho anche degli studenti che sono stati arrestati e detenuti per 30 giorni, alcuni sono stati multati per le loro posizioni sulla guerra.
Che cosa potrebbe fermare la guerra? In che cosa spera?
Non so come si fermerà, ma sono assolutamente certo che la Russia non potrà vincere la guerra. So che io non posso fare niente per fermarla, ma so che posso lavorare per il futuro del Paese e delle sue università. So anche che quando la guerra finirà, l’Ucraina avrà ottime possibilità per ricominciare, ricostruire il Paese e renderlo forte. In Russia, al contrario, non vedo nessuna possibilità per i nostri cittadini, insegnanti, studenti, per il futuro. Avremo enormi problemi, oltre a quelli che abbiamo già. Saranno i russi a dover pagare per la guerra. E per la ricerca accademica il futuro è nero. Credo però che i nostri colleghi all’estero non si separeranno dagli accademici russi. Ci chiederanno che cosa pensiamo della guerra, e sarà giusto, ma continueranno a parlare con coloro che si sono opposti alla guerra. È l’unica possibilità, altrimenti moriremo. Ed è l’appello che noi facciamo ai colleghi all’estero: che non ci isolino.
I servizi segreti russi stanno contattando e interrogando i parenti di coloro che hanno lasciato il Paese perché facciano tornare i propri congiunti. Le risulta?
Le rispondo con una barzelletta: un ragazzino a scuola racconta di aver ricevuto una lettera dallo zio che è in Gran Bretagna e che gli chiede di andare ad aiutarlo. I compagni suggeriscono che lo zio torni in Russia per essere aiutato. “Mio zio è cieco, non è un idiota”, risponde il ragazzino. La morale: penso che se qualcuno ha lasciato il Paese, i colloqui dell’Fsb sono una buona ragione per non tornare in Russia.
Perché lei non se ne va?
Non mi piace il governo russo, ma mi piace il Paese dove sono nato; penso che devo lavorare per la Russia e il suo futuro stando qui: mi offre più possibilità per farlo. Non posso dire di essere al sicuro qui, ma il mio livello di sicurezza al momento è accettabile. E poi ci sono i miei genitori e non sarebbe una buona cosa lasciarli. Ma se le cose dovessero cambiare, mi porrei la questione. Cambiare il futuro dell’università russa deve avvenire stando qui. Non lo si può fare dalla Polonia o dalla Repubblica ceca; certo chi è all’estero può aiutare, ma bisogna che qualcuno stia qui. E poi ci sono molti dei miei studenti che non possono lasciare il Paese. E allora ci va che qualcuno li aiuti, parli con loro. Per esempio, lo scorso fine settimana, ci siamo trovati insieme per vedere un film su Anna Harendt e confrontarci. Eravamo una trentina. È stato molto utile e importante.
Che cosa pensa del 9 maggio?
Non mi interessano le celebrazioni ufficiali del governo. Ma quel giorno di 70 anni fa è stato molto importante per l’Urss. Ci sono tante lezioni che noi non abbiamo compreso, ma dovremo impararle e insegnarle. L’Ucraina ha capito tante lezioni e questo è buono; noi no. Per esempio ha capito che la scelta di un presidente è importante, che la democrazia è importante.
Se per 70 anni non sono state apprese, come fare ora?
Penso sia molto importante dare ai russi modi per informarsi. Molti si informano con la tv, quindi bisogna cambiare la tv, perché l’informazione in Russia non è libera. Per esempio, i documentari di Navalny sulla corruzione: in Occidente una cosa del genere farebbe saltare delle sedie; qui invece ha portato all’arresto dei produttori dei documentari. L’unico posto in Russia dove si possono trovare informazioni libere è internet, ma senza Vpn non si possono leggere certe testate adesso, solo le favole del governo. Poi dobbiamo cambiare l’insegnamento scolastico, perché gli insegnanti diffondono una parte non così positiva della realtà russa (come il fatto che gli ucraini sono nazisti). Bisogna permettere altre opinioni sul mondo, perché altrimenti, dopo vent’anni di messaggi secondo cui gli ucraini sono nemici che odiano la Russia, è ovvio che succedono certe cose. Bisogna cambiare anche tante leggi. La denazificazione, come è avvenuta in Germania, dopo la II Guerra mondiale, deve avvenire in Russia.
In discussione c’è una legge che modifica e inasprisce le regole sui cosiddetti “agenti esteri”: diventerà impossibile che persone come Navalny possano pensare di accedere alla politica?
Se le cose non cambieranno radicalmente, nei prossimi anni, la Russia non avrà futuro.
Ma come è stato possibile che Vladimir Putin abbia potuto determinare così tanto il destino del Paese?
Io non penso che questo governo sia un governo del popolo, ma di fatto una forza che ha occupato la Russia. Per anni sono stato un osservatore delle elezioni russe e ho visto che non ci sono state elezioni corrette. Il partito di Putin ha sempre avuto il 40% dei consensi, forse anche meno, anche se i dati ufficialmente pubblicati erano diversi. Ma di fatto non c’erano alternative. Quindi di fatto è avvenuta un’occupazione. In Ucraina non sta combattendo l’esercito russo, ma un esercito di Putin: e si vede dai video che sono persone che arrivano da zone molto povere della Russia, un’accozzaglia di banditi. La guerra con l’Ucraina è iniziata nel 2014, ma Putin ha iniziato una guerra fredda con la Russia nel 2001, chiudendo i media, uccidendo gli oppositori. Il 24 febbraio 2022 è successo che l’Europa e gli Usa hanno iniziato a capire che cosa stava succedendo. È chiaro che è un problema nostro e che non siamo stati capaci di contrastarlo in maniera efficace. Non è l’Europa che può venire in Russia a portare il cambiamento, dobbiamo essere noi. Certo bisognerebbe non si comprasse più il gas e il petrolio dalla Federazione russa, come Navalny chiede da anni, perché lo si compra da degli assassini. Il problema evidentemente è la Russia, non l’Ucraina.