Dopo le misure adottate dai tecnici guidati da Mario Monti, per ora “si stringe”. Sperando di poter poi allentare...

di Nicola SALVAGNIN

Euro

Un riflesso condizionato, quello del ministro del Welfare Elsa Fornero, che, annunciando i nuovi sacrifici sulle pensioni, s’è messa a piangere: s’immaginava le reazioni di milioni di italiani, in particolare quelli che hanno tra 45 e 55 anni (i più giovani sono disillusi: sanno che mai avranno una pensione). La manovra varata dal governo Monti – l’ennesima di questi mesi – è una strizzata da 25-30 miliardi di euro alle tasche degli italiani. E due terzi li fornirà il capitolo previdenziale.

In dettaglio, le più penalizzate saranno le donne, che entro breve dovranno lavorare circa una decina d’anni più di oggi: la loro “colpa” è quella di vivere più a lungo, troppo per i conti Inps. Il pensionamento anticipato a 40 anni di contributi (a prescindere dall’età) finisce in soffitta: salirà a 41-42 anni e poi si aggancerà alle aspettative di vita.

Le misure sono assai articolate, ma in sostanza possiamo riassumerle così: addio alle pensioni di anzianità, addio alle finestre mobili (buona cosa: si andrà in pensione un mese dopo averne raggiunto i requisiti), addio al sistema retributivo per calcolarle (ora tutti con il contributivo, si avrà in proporzione a quanto versato). L’età minima sarà flessibile, con un sistema di incentivi-disincentivi: 62-70 anni per le donne; 66-70 anni per gli uomini. Non è passato molto tempo da quando la politica si accapigliava attorno a quota 62, giudicata “insostenibile e punitiva”. Bei tempi. Per fare cassa, il Governo ha pure congelato per il 2012 e il 2013 gli adeguamenti delle pensioni al carovita (già ora solo parziale). Significa che le pensioni superiori a 936 euro saranno in pratica impoverite di circa un 2% annuo.

Seconda bastonata, questa volta all’italiana. Non saranno aumentate le aliquote Irpef sui redditi dichiarati, questo no. Saranno infatti aumentate le aliquote Irpef di base relative all’addizionale regionale: dallo 0,90 all’1,23%. In sostanza, rincara ancora la tassazione dei redditi da lavoro, ma sembra di no.

La tassazione su produzione e consumi (Iva) sarà rincarata non oggi, e con un se: cioè se dalla spremitura delle agevolazioni fiscali decisa dal precedente Governo non si riuscirà ad estrarre 4 miliardi di euro, la copertura sarà data dall’aumento delle aliquote Iva al 23 e al 12%. Ciò a partire dal secondo semestre 2012. E dal primo gennaio del prossimo anno saliranno ancora le accise sulla benzina.

Terza bastonata: il mattone. Torna l’Ici sulla prima casa, anche se chiamata con altro nome. L’aliquota su di esse sarà dello 0,4%, con la possibilità da parte dei Comuni di abbassarla; sulle seconde case sarà flessibile: dallo 0,46% all’1,06%. In più, sarà rivalutata del 60% la base imponibile dei fabbricati su cui calcolare l’imposta dovuta. A mitigare la stangata, i 200 euro di detrazione previsti per l’abitazione principale.

La quarta bastonata è più selettiva: riguarda i possessori di auto con potenza superiore a 170 kw (superbollo di ben 20 euro ogni kw eccedente); di barche più lunghe di 10 metri, di elicotteri e jet privati. Un mix di imposte giuste e sbagliate (che comunque daranno poco gettito, più simboliche che altro): la soglia per le barche è molto bassa e rischia di cancellare la cantieristica italiana e con essa migliaia di posti di lavoro. Una spremutina pure per fondi, polizze e titoli che oggi non pagavano l’imposta di bollo: un “privilegio” destinato a terminare.

Queste le lacrime. Sul fronte del cosiddetto “sviluppo”, tre le misure più interessanti: chi lascia gli utili in azienda o la ricapitalizza, avrà un aiutino dal Fisco; che aiuterà le aziende pure nelle neo-assunzioni di “donne e giovani” (ancora non è stato specificato chi rientrerà nella categoria e con quali modalità) con uno sgravio dell’Irap; infine dovrebbe essere riconfermata l’agevolazione del 55% o giù di lì per gli interventi edilizi che favoriscono il risparmio energetico.

Il ministro delle Infrastrutture Corrado Passera ha promesso che si sbloccheranno alcuni grandi lavori pubblici, vuoi con normative più snelle, vuoi con qualche alchimia finanziaria per smuovere un settore fondamentale per l’economia italiana. Infine lo Stato garantirà le emissioni bancarie dai 3 mesi ai 7 anni: un salvagente di fronte all’imminente crac che poteva travolgere le banche, alle prese con un innalzamento dei tassi micidiale.

Viene quindi liberalizzato ovunque l’orario degli esercizi commerciali: finisce in soffitta il dibattito se sia più o meno opportuno tenere i negozi aperti di domenica. Ed entro il 13 agosto tutti gli ordini professionali dovranno riformarsi (per esempio: addio alle tariffe minime e ai blocchi negli accessi), pena la soppressione degli ordini stessi.

C’è dell’altro ancora (effettivo svuotamento delle Province, per esempio), in una manovra studiata in soli 17 giorni per rastrellare un bel po’ di soldi da gettare sull’altare del debito pubblico. Ora si sperano due cose: che i “mercati” la considerino roba buona, allentando la presa sui nostri titoli di Stato (più il loro valore crolla, più interessi sul debito dobbiamo pagare); e che certe misure facciano ripartire un’economia che si appresta ad affrontare il quinto anno consecutivo di recessione. Solo così si potranno creare lavoro, redditi, consumi, entrate fiscali… insomma allentare la cinghia di almeno un buco.

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