Le conseguenze del fallimento del Paese ellenico. Un giorno nero per tutti i mercati
Nicola SALVAGNIN
La Grecia è tecnicamente fallita. Non potrà mai rimborsare ai creditori i propri Bot, quindi prima o poi lo dirà urbi et orbi. Lo farà un venerdì, 29 settembre, pomeriggio quasi sicuramente, cioè a mercati finanziari chiusi. Lo farà all’improvviso, dopo aver negato l’evidenza fino all’ultimo. Tra sabato e domenica bloccherà tutti i bancomat nazionali, e stamperà miliardi di banconote di “nuove dracme”, che presumibilmente varranno circa la metà dell’attuale euro.
Il lunedì successivo i greci troveranno i loro depositi in euro dimezzati e convertiti in dracme. Quel lunedì sarà una giornata nera per mezzo mondo, nerissima per l’Italia. Un minuto dopo il default greco, i mercati impazziti dal panico venderanno tutto ciò che fa paura: in primis i titoli di Stato italiani. La Bce e i governi nazionali da tempo si stanno attrezzando per il day after e per sostenere la quotazione dei propri titoli, ma anche per venire in soccorso a quelle che letteralmente cadranno nel baratro del lunedì nero: le azioni delle grandi banche europee.
Le più esposte sono le francesi, che hanno in corpo qualcosa come 50 miliardi in titoli greci; quindi i tedeschi (molto meno, ma ci sono due grandi banche molto appesantite). Gli istituti italiani sono abbastanza ai margini del problema: ma una perdita di uno o due miliardi di euro, di questi tempi, non è assolutamente facile da digerire e già ora basta uno stormir di foglie per far cadere le loro quotazioni. E poi ci sarà la caccia alle azioni di tutte le aziende che fanno affari con la Grecia; di tutte le assicurazioni che hanno molto patrimonio in Cct e Btp; di tutte le aziende collegate con banche francesi o tedesche…
Immediatamente attorno al Paese ellenico si stringerà un cordone sanitario. Di isolamento. La Grecia dichiarerà fallimento – cioè manifesterà la sua volontà-impossibilità di ripagare i propri debiti – per due ragioni: la prima appunto per liberarsi dagli stessi; la seconda per svincolarsi dall’euro e poter tornare competitiva con una nuova, svalutatissima dracma.
Un svalutazione (e un impoverimento interno) valutabile in circa il 45-50%, dicevamo. Ma nel contempo sarà l’Europa a mettere dazi altrettanto alti verso asparagi, orate, olio greco che altrimenti invaderebbero i nostri mercati a prezzi stracciati massacrando le produzioni nazionali.
Se i dazi funzioneranno con le merci importate, certo nulla si potrà fare contro la prima voce dell’economia greca, il turismo: fare le vacanze in Grecia nel 2012 costerà la metà che nel 2011. Italia, Croazia, Spagna e Turchia avranno pesanti contraccolpi. Ma questo è un altro discorso.
Un’altra strada si aprirebbe davanti ai piedi dei governanti greci: quella di un fallimento pilotato (cari creditori, vi restituiremo solo una parte dei soldi e in tempi lunghi) ma rimanendo dentro l’euro. Ciò comunque non salverà gli altri Paesi in difficoltà – Italia in primis – dalla bufera che si scatenerà; né aiuterà la Grecia a uscire da una crisi economica e finanziaria quasi mortale. Quindi sarà l’uscita dall’euro la strada prescelta quasi sicuramente.
Qui non ci soffermeremo sulle conseguenze sociali che questa ormai inevitabile scelta porterà ad Atene e dintorni. Le abbiamo già viste in Argentina nel 2001, con la classe media disintegrata e in coda per un piatto di minestra alla mensa dei poveri. Il conto di anni di sperperi sarà durissimo. Centinaia di migliaia di greci dovranno fare la valigia ed emigrare all’estero, con un Paese tornato direttamente agli anni Cinquanta del secolo scorso.
Qui, egoisticamente, inquadreremo l’inizio del dramma italiano. Se ci siamo dimostrati sostanzialmente incapaci di approvare una manovra che mettesse un po’ d’ordine nei conti pubblici, figuriamoci cosa succederà se ci trovassimo con le banche paralizzate e i creditori in fuga dai nostri Bot, con lo Stato senza i soldi per pagare gli stipendi a medici e insegnanti e poliziotti.
Oppure… la terza strada. L’Europa (soprattutto la Germania) chiude tre occhi sulle cause che hanno portato la Grecia in una simile situazione, s’accolla i suoi debiti e salva la nostra capra e i loro cavoli. Prima che questi vadano in putrefazione. Perché il caos in Malawi o in Cambogia non cambia di una virgola il resto del mondo. Il possibile crack dell’Italia (e della Spagna, e del Portogallo…) scatenerebbe una recessione mondiale che questa, in confronto, è solo una febbruncola.