Marina Ovsyannikova, apparsa in video con un cartello contro la guerra, è stata arrestata e poi scarcerata. Il partito di opposizione Parnas condanna il «regime autoritario non costituzionale di Putin»
di Agensir
«Sono spaventata per la mia sicurezza e quella dei miei figli»: lo ha detto Marina Oysyannikova nella sua prima intervista dopo l’irruzione anti-guerra in diretta nello studio di Channel One, la principale emittente di Stato della Russia. Riferisce Sky citando una sua intervista alla Reuters che la giornalista – trattenuta 14 ore dalle autorità e poi rilasciata e sanzionata (dopo che si era diffusa la notizia della sua scomparsa – ha spiegato che non ha intenzione di lasciare la Russia e di sperare di non incorrere in una incriminazione per la sua protesta.
Durante il programma Vremya Marina Ovsyannikova era apparsa con un cartello («Fermate la guerra. Non credete alla propaganda, qui vi stanno mentendo») ed era poi stata arrestata. La mattina seguente, sul suo canale Telegram, aveva scritto: «Amici, non preoccupatevi sto bene. L’articolo 29 della Costituzione russa non è stato cancellato e voi, come me, avete il diritto di esprimere i vostri pensieri. E poi ancora: «Ciò che è fatto è fatto, non mi pento di nulla, era quello che volevo e un mio diritto».
In un video preregistrato la giornalista aveva attaccato ancora più duramente il regime, spiegando che in Russia sono stati tutti «zombificati». «Ciò che sta succedendo in Ucraina è un crimine. E la Russia è l’aggressore. La responsabilità di questa aggressione è di una persona sola e questa persona è Vladimir Putin», si legge in un tweet che sta spopolando. «Mio padre è ucraino e mia madre è russa e non sono mai stati nemici – spiegava ancora nel video -. Purtroppo ho lavorato al Canale Uno negli ultimi anni e ho lavorato alla propaganda del Cremlino. E ora mi vergogno molto – riporta la France Presse -. Scendete in strada, non abbiate paura. Non possono incarcerarci tutti».
Intanto, dopo Facebook e Twitter, anche Instagram è stato incluso nel registro dei siti vietati e bloccati in Russia dal Roskomnadzor, l’organismo federale di controllo delle comunicazioni. Roskomnadzor ha anche reso noto che circa 40 milioni di utenti russi sono passati a Telegram nel fine settimana, quando si è diffusa la notizia del blocco di Instagram. YouTube potrebbe essere bloccato nel prossimo futuro, se non saranno soddisfatti i requisiti legali di Roskomnadzor.
«L’atto di aggressione contro un Paese sovrano ha portato lo Stato di Putin fuori dal mondo civile, mettendolo contro gli interessi della Russia. Questa decisione è un crudo tentativo di determinare il destino del nostro Paese e dei suoi cittadini senza la partecipazione delle persone, sulla base di una visione del mondo distorta e di una valutazione erronea della situazione in Russia, Ucraina e nel mondo intero». È una dichiarazione apparsa il 14 marzo sul sito del partito di opposizione russo Parnas (Partito della libertà del popolo), guidato da Mikhail Kasyanov. Il testo parla di «regime autoritario non costituzionale di Putin» che, per guadagnare il sostegno del popolo russo, «ha tagliato fuori il Paese da tutte le fonti di informazione libera, imposto sanzioni draconiane per chi diffonde fatti veritieri su ciò che sta accadendo ora in Ucraina e persino per chi invoca la pace». E così i cittadini russi sono «inondati da flussi di falsa propaganda» che distorcono la realtà e suscitano «odio verso gli ucraini e le nazioni che li supportano».