Dalla lettera dell'Arcivescovo ai parroci a un’iniziativa nazionale in programma a Milano a fine giugno. Parla Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana e presidente della Fondazione San Bernardino

di Pino NARDI

gualzetti

La Chiesa ambrosiana è in prima linea contro la mafia e la piaga dell’usura. Cinque mesi fa l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, ha scritto una lettera a tutti i parroci per sollecitarli a una vigilanza e a un impegno su questo fronte, perché il fenomeno dell’infiltrazione criminale nell’economia lombarda è sempre più forte e sono tante le famiglie rovinate dalla piaga del gioco d’azzardo e dalla conseguente ricerca di aiuto nello strozzino. Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana e presidente della Fondazione San Bernardino, illustra i frutti scaturiti dopo questa lettera. E annuncia un’iniziativa nazionale a Milano con le realtà impegnate contro l’usura in tutta Italia (vedi box a sinistra).

Gualzetti, a 5 mesi dalla pubblicazione della lettera di mons. Delpini, quale primo bilancio si può delineare?
Dal punto di vista della sensibilizzazione dei parroci, c’è già stata una buona risposta nella segnalazione di vittime del sovraindebitamento a Caritas e a Fondazione San Bernardino. Non ci aspettavamo grandi impennate, ma abbiamo visto segnali di maggiore consapevolezza. Ma il vero effetto del percorso che stiamo portando avanti – dove la lettera è uno dei frutti più visibili – è che si è attivata una riflessione a 360°, un’alleanza tra tanti soggetti che hanno responsabilità. La San Bernardino ha segnalato alcuni fenomeni che vengono prodotti dal sistema bancario, raccolti dall’Università cattolica che si è incaricata assieme a noi di promuovere un tavolo di studio allargato alle varie facoltà che si occupano di sistema bancario, economia, psicologia, sociologia, per capire quello che sta succedendo e come si può intervenire. È un percorso iniziato a maggio e si concluderà a settembre. È una riflessione scientifica nella direzione di capire cosa si può cambiare dentro il sistema, al di là degli interventi di emergenza, ma guardando alle cause strutturali e cercando di cambiarle per migliorare le procedure, le azioni, anche i sistemi che sembrano impermeabili come le banche o i fallimenti.

Nella lettera di monsignor Delpini si sottolineava anche il rischio per le imprese. Su questo fronte ci sono novità?
Sì, perché l’altro percorso maturato insieme alla lettera è stata un’attività di sensibilizzazione da parte di Confcommercio, che proprio alla luce di queste riflessioni ha ritenuto importante proporre momenti formativi con il Gruppo Goel della Calabria, per avvertire le proprie aziende sui segnali che devono allarmare rispetto alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Sono state impegnate decine di aziende che hanno imparato a riconoscere quali sono le modalità: prima l’interlocutore si presenta come un salvatore, un amico, qualcuno che ti dà una mano; in realtà lo scopo è quello di sottrarre l’impresa, soprattutto la licenza, anche se poi viene lasciato il titolare, ma a questo punto non più padrone dell’azienda. Alla criminalità organizzata serve avere le aziende a proprio servizio per il riciclaggio del denaro, per inserire e assumere persone che escono dal carcere e devono rientrare nell’organico criminale, per creare consenso con le assunzioni. Il vero scopo è quello di governare un territorio anche con infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni con propri professionisti e influenzando i politici ai livelli amministrativi. Tutto questo è oggetto di riflessione all’interno di un set informativo della Confcommercio che darà i suoi frutti in termini di anticorpi. Il vero problema è non lasciarsi avvinghiare o irretire dalle azioni di un’organizzazione criminale che ha tanta disponibilità di soldi, è presente sul territorio, si insinua laddove ci sono debolezze, perché non si riesce ad accedere al credito. Quindi la riflessione poi torna a come riuscire a dialogare con le banche, perché non fanno tutto quello che è loro possibile per evitare che la persona si ritrovi a dover affidarsi solo agli usurai o alla criminalità organizzata.

Da tempo le indagini della magistratura hanno fatto emergere la pervasività della presenza criminale e il controllo del territorio in Lombardia. Questo lavoro è dunque significativo anche nella comunità cristiana per prendere consapevolezza di questo fenomeno…
La criminalità organizzata va dove ci sono i soldi e gli affari. Don Ciotti cita sempre don Sturzo: «La mafia ha i piedi al Sud, ma la testa a Roma e poi punta al Nord, cioè dove ci sono i soldi». Lo diceva nel 1919 e vale ancora oggi. Ovviamente adesso i confini non ci sono più, è in tutta Europa. Da noi non c’è una grande consapevolezza, soprattutto nei territori dove si fanno affari, non è nell’interesse della criminalità organizzata fare attentati o sparatorie, perché creano solo allarme e repressione. Nel silenzio riescono ad arricchirsi. La Lombardia non è esente: abbiamo visto a tutti i livelli aziende comprate, attività economiche passate in mano alla criminalità organizzata, addirittura abbiamo visto anche Comuni, amministrazioni, istituzioni infiltrate, professionisti, avvocati, commercialisti che sono stati assoldati per segnalare le aziende più in difficoltà che poi vengono aggredite.

Il contrasto alla mafia non può essere demandato solo alle forze dell’ordine, ma riguarda la coscienza civile di tutti i cittadini…
Esatto, è così. Le forze dell’ordine fanno bene il loro mestiere, in Italia l’attenzione è veramente alta e gli strumenti di contrasto sono efficaci. Tuttavia è necessaria anche una lotta, una bonifica culturale nel senso della sobrietà, ma anche della legalità. Essere infatti convinti di quello che non si deve fare, anche perché poi non si sa fino dove si viene trascinati. Si pensa che sia un’azione innocua che fanno tutti, in realtà non è così, perché c’è gente onesta. Il commerciante, l’imprenditore, il cittadino devono sapere che alcune cose non sono consentite e non devono essere fatte per non far concorrenza sleale, ma anche perché è giusto che tutti si prendano la loro fetta di responsabilità. Questa crescita culturale di consapevolezza della sfida che abbiamo di fronte deve essere condivisa da tutti, a partire dai più giovani. Nasce da un rapporto corretto con il denaro: non bisogna esserne schiavi o avere velleità di acquisti sopra ogni misura, domandandosi se sono strettamente necessari o meno. C’è anche un problema di consapevolezza di quello che si può fare o meno dal punto di vista economico, finanziario e legale. Questo è un lavoro che la San Bernardino fa nelle parrocchie e con le persone che incontra insieme alla Caritas. Il vero problema è creare anticorpi, perché nel tessuto se arriva questo cancro ci sia la reazione, non ci sia invece un adeguamento o il voltarsi dall’altra parte dicendo “non mi riguarda”, mentre il tarlo aumenta.

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