Dal 12 febbraio all’8 marzo il giornale ha pubblicato una serie di vicende confluite ora anche in un podcast e prossimamente edite in un volume da “Pagine prime”
di Annamaria
Braccini
«Il Paese ha bisogno di cose che partano dal basso, da persone che pensano e che non hanno paura di avere sentimenti. Questa iniziativa è fortemente inclusiva ed è giusto che anche gli uomini ascoltino». A dirlo, aprendo l’incontro conclusivo del progetto #Avvenireperledonneafghane, è il direttore del quotidiano Marco Tarquinio secondo il quale, «l’Afghanistan ci dice che cosa è la guerra: sopraffazione, umiliazione dei più deboli, soprattutto donne e bambine. Investire qualcosa a favore delle giovani donne è fondamentale in un Paese che ha creato una ghigliottina sul futuro perché a 12 anni le bambine non possono più accedere all’istruzione».
Il progetto promosso da Avvenire, iniziato il 12 febbraio scorso e conclusosi, non a caso, l’8 marzo, ha visto ogni giorno la pubblicazione di una storia di donne afghane raccontata dalle giornaliste della testata. Una serie di vicende confluite ora anche in un podcast e che verranno prossimamente pubblicate in un volume da “Pagine prime”. L’iniziativa ha prodotto anche un risultato molto concreto, con la raccolta, alla quale i lettori hanno aderito generosamente, di 18 mila euro donati, al termine dell’incontro, alla Caritas italiana nella persona del direttore nazionale, don Marco Pagniello, per un progetto inerente all’istruzione anche femminile. «La situazione in Afghanistan – ha spiegato Pagniello – è complessa perché le limitazioni alla libertà sono tante e riguardano anche la Chiesa stessa. E questo non fa ben sperare per il futuro, però noi ci siamo. Il Progetto “Ognuno insegna a qualcuno” ha l’obiettivo di non lasciare sole le bambine».
«Aiutiamole a fare sentire la loro voce»
Madina Hassani, attivista rifugiata e mediatrice culturale, 27 anni, studi in scienze sociali, da parte sua sottolinea: «Le donne afghane hanno subito storicamente una mutilazione dei propri diritti e abbiamo bisogno di qualcuno che le aiuti a fare sentire la loro voce. Se adesso le donne sono completamente invisibili, anche prima i diritti sanciti dal governo precedente ai talebani valevano solo per la classe medio alta, ma non a livello rurale».
«I media possono aiutarci molto a far prendere coscienza della situazione femminile, ma anche per raccontare la resistenza delle donne che, ancora ieri, ha portato a manifestazioni contro i talebani con ragazzine giovanissime che sono andate in piazza. Noi siamo la generazione a cui hanno strappato tutto. Quello che chiedono alle donne afghane è di non fare nulla, con una sorta di lockdown totale per un periodo limitato».
Collegata con l’incontro, tra gli altri, anche una scolaresca del Liceo scientifico “Alberti” di Miturno (Latina), che ha letto in classe quotidianamente le testimonianze pubblicate da Avvenire, e la madre priora del monastero di Santa Rita da Cascia, la quale ha devoluto una cospicua offerta per il progetto, «volendo aiutare donne coraggiose come lo fu Santa Rita».
«I talebani impediscono l’istruzione»
«Sono arrivata dall’Afghanistan nell’agosto 2021 con una laurea in Scienze sociali e un master conseguito in India, al momento lavoro con l’Università Sant’Anna di Pisa», racconta con semplicità Elnaz Mahandes. Accolta tra le 31 persone della sua stessa nazionalità da Casa della Carità di Milano, Elnaz, spiega come sia «importante ascoltare le donne di un Paese che ha fatto una serie di passi indietro in tutti i campi: sociale, civile, economico. Dal punto di vista politico, il potere talebano ovviamente non ammette donne, ma bisogna anche dire che 3/4 della popolazione è oggi alla fame, per il congelamento degli aiuti internazionali e dei depositi all’estero dei talebani stessi. In questo contesto, la situazione delle donne è particolarmente grave, perché si sono trovate anche disoccupate in quanto molte lavoravano in organizzazioni internazionali che ora hanno lasciato l’Afghanistan. E spesso sono, in un Paese di vedove, il solo sostentamento della famiglia». I talebani «impediscono l’istruzione sopra i 12 anni e questo ha un impatto terribile dal punto di vista educativo e anche per l’occupazione. Le donne vivono in una prigione, non possono spostarsi oltre i 70 km senza un accompagnatore, non possono prendere un taxi da sole o passeggiare in un parco».
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