Il progetto si intitola «Pagella in tasca», è realizzato da Intersos in collaborazione con Unhcr ed è finanziato dalla Cei con 400 mila euro. Tra i partner la Fondazione Migrantes

di Patrizia CAIFFA
Agensir

Foto Martina Martelloni
Foto Martina Martelloni

È il primo corridoio umanitario per minori migranti soli, una esperienza unica in Italia, in Europa e forse nel mondo. Serve a dare la possibilità di studiare e realizzare il loro sogno di vita a bambini e ragazzi fuggiti da conflitti e povertà da soli, senza familiari ad accompagnarli.

Il progetto, promosso da Intersos insieme ad Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati, si intitola «Pagella in tasca. Canali di studio per minori rifugiati» ed è realizzato grazie a un protocollo d’intesa con i Ministeri degli Affari esteri e della cooperazione italiana, dell’Interno e del Lavoro. L’idea nasce con l’appoggio della diocesi di Torino. È stato finanziato dalla Conferenza episcopale italiana con 400 mila euro, tramite la Campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Tra gli altri partner, la Fondazione Migrantes della Cei e il Comune di Torino.

I primi arrivi

Nell’ottobre 2021 è arrivato un primo gruppo di cinque ragazzi, il 12 ottobre 2022 sono sbarcati all’aeroporto di Torino altri quattro. Ora stanno preparando le carte per far partire altri cinque ragazzi. Sono tutti sudanesi, provenienti dai campi per rifugiati in Niger. L’obiettivo è inserirli in famiglia tramite l’affido familiare, con una borsa di studio di 12 mesi che permette loro di iniziare o proseguire gli studi. In totale il progetto prevede l’arrivo in Italia di 35 ragazzi, tra i 16 e i 17 anni. Hanno tutti situazioni drammatiche alle spalle.

Gli ostacoli burocratici

«Una forte motivazione allo studio è stato il criterio principale di selezione – spiega Elena Rozzi, coordinatrice del progetto -. Il paradosso è che i minori stranieri non accompagnati, che sono tra i più vulnerabili, non possono accedere ai corridoi umanitari tradizionali. Le procedure che dovrebbero tutelarli, nei fatti li escludono». I motivi sono complicazioni di carattere burocratico, anche perché è necessario il consenso dei genitori (spesso non rintracciabili). Inoltre devono essere accolti in strutture apposite per minori.

Gli operatori di Intersos hanno però scoperto che in Italia «esiste un permesso di soggiorno per studio per i ragazzi tra i 15 e i 17 anni che non viene mai utilizzato. Così lo abbiamo sfruttato. Poi una volta inseriti in famiglia e nei percorsi scolastici possono fare richiesta d’asilo con le normali procedure. Non è stato facile: le procedure per i minori sono più complicate e i tempi si sono allungati più del previsto ma ci siamo riusciti. I ragazzi si sono inseriti molto bene in famiglia. Le cose stanno andando oltre le nostre aspettative».

Gli strumenti

Intersos accompagna le famiglie affidatarie con la mediazione culturale, il supporto educativo, il sostegno nelle pratiche per la richiesta d’asilo. I servizi sociali dei Comuni coinvolti si occupano di seguire le famiglie, che rientrano nei tradizionali percorsi di affidamento familiare. La maggior parte sono a Torino, un paio di ragazzi sono ad Alba e a Genova ma l’intenzione sarebbe di estendere la rete. La coordinatrice del progetto lancia a questo proposito un appello: «Ci piacerebbe che altri Comuni e realtà della società civile partecipassero».

Tra famiglia e studio

Alcuni ragazzi stanno frequentando le 150 ore delle scuole speciali per l’alfabetizzazione degli adulti. Uno ha imparato a leggere e a scrivere in italiano a 17 anni. Altri sono inseriti alle scuole medie, uno al terzo anno di liceo linguistico: «Hanno una volontà e una forza eccezionale, che ha consentito loro di sopravvivere alla guerra in Darfur, alla Libia e ai campi profughi. Dedicano moltissimo tempo allo studio». Nel frattempo alcuni ragazzi hanno compiuto la maggiore età. Alcune famiglie del primo gruppo hanno già chiesto al Tribunale per i minorenni di Torino il proseguimento amministrativo dell’affido fino ai 21 anni. “Nonostante tutte le difficoltà stanno facendo progressi immensi – conclude l’operatrice -. Speriamo riescano a ottenere una qualifica e poi a trovare un lavoro. Con questo progetto vogliamo dimostrare di poter aprire una via in un campo finora inesplorato. Ci auguriamo che queste procedure diventino un modello replicabile. È una modalità importante per sottrarre i bambini e ragazzi che viaggiano soli al rischio tratta e sfruttamento nei viaggi illegali».

La storia di Omar

Tra i ragazzi arrivati in Italia c’è Omar (è un nome di fantasia), 17 anni, sudanese. Il suo sogno è fare il medico. Aveva solo 13 anni quando le milizie janjaweed, il terrore della gente che vive in Darfur, hanno attaccato il campo profughi in cui viveva, torturando e uccidendo alcuni membri della sua famiglia. Omar ha vissuto la terribile esperienza dei campi di detenzione in Libia e poi nel 2020 è riuscito a fuggire in Niger, e ha chiesto asilo in un campo per rifugiati ad Agadez. Grazie all’incontro con gli operatori di Intersos è riuscito ad arrivare a Torino, dove è stato accolto da una famiglia affidataria. Ha già imparato l’italiano, si trova benissimo in famiglia e si impegna strenuamente nello studio.

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