Nei giorni scorsi è stato presentato il Piano nazionale, operativo da subito, che prevede uno stanziamento di un miliardo di euro

di Alberto CAMPOLEONI

Tablet studenti

È stato presentato nei giorni scorsi il Piano nazionale che prevede uno stanziamento di un miliardo di euro – spiega il ministero dell’istruzione – «per portare l’innovazione a scuola». E più precisamente, seguendo sempre le dichiarazioni che hanno accompagnato il corposo documento ministeriale – 138 pagine -, «600 milioni sulle infrastrutture e 400 sulle nuove competenze, la formazione del personale, il monitoraggio e le misure di accompagnamento». Alla portata di ogni scuola ci saranno fibra e banda ultra-larga, cablaggio degli spazi interni, risorse per pagare il canone di connettività, un responsabile per il digitale per ogni istituto, formazione in servizio per tutto il personale, una strategia nazionale per l’apprendimento pratico e i laboratori, un quadro comune per le competenze digitali degli studenti. Il Piano prevede “35 azioni” da mettere in pratica per rendere operativo il sistema e portare la scuola nel futuro.

Inutile dire che il ministro Giannini punta molto sul Piano che, dice, «è uno dei pilastri attuativi della Buona Scuola». E durante la presentazione ha spiegato come rispecchi «la visione del Governo rispetto alle più importanti sfide di innovazione del sistema pubblico: al centro di questa visione ci sono l’apertura e l’innovazione del sistema scolastico e le opportunità dell’educazione digitale. Il Piano non è un semplice dispiegamento di tecnologia. Risponde alla necessità di costruire una visione di educazione nell’era digitale. Parlare solo di digitalizzazione, nonostante i nostri ritardi, non è più sufficiente. Si rischierebbe di concentrare i nostri sforzi sulla dimensione tecnologica invece che su quella culturale».

Quindi, non solo banda larga e infrastrutture, ma soprattutto, un lavoro di formazione e trasformazione di mentalità. Anzi, come si legge nel corposo documento ministeriale, «un’azione culturale di sistema», che parte «da un’idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l’apprendimento e non unicamente luogo fisico, e come piattaforma che metta gli studenti nelle condizioni di sviluppare le competenze per la vita».

Niente di meno. Naturalmente siamo solo al punto di partenza e bisognerà vedere i passaggi successivi, soprattutto legati alla capacità/possibilità di realizzare un vero coinvolgimento ampio della comunità scolastica, quello «sforzo collettivo» sottolineato una volta di più dal Piano. Poi, forse, bisognerà cercare di approfondire, negli anni e nella pratica, cosa vuol dire davvero scuola digitale, inteso che non basta dotare di tecnologie le strutture esistenti. Tecnologie, peraltro, sulle quali esistono pareri se non contrapposti, almeno discordanti. Sono recenti, ad esempio, ricerche che segnalano come l’abbattimento del digital divide tra scuole del Nord e del Sud Italia non è stato sufficiente a livellare i rendimenti (indagine commissionata dalla Presidenza del Consiglio), oppure indicano che l’uso quotidiano in classe di pc e tablet o altri device mobili contribuisce ad abbattere la dispersione (indagine dell’Indire di Firenze al Forum sulla scuola del futuro).

Insomma, la scuola digitale non si fa (solo) con le lim e la banda larga. E il futuro non è (solo) tecnologia. Il fattore umano – trattandosi di educazione – resta decisivo. Il Piano nazionale sembra saperlo. 

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