L’analisi del sociologo Luca Diotallevi sui giovani senza impiego al centro del primo dei quattro “Lunedì in Famiglia” che “Famiglia Cristiana” organizza in preparazione all’Incontro mondiale di Milano
di Annamaria BRACCINI
«Sono tanti i luoghi comuni che non possiamo consentire e che circondano la riflessione e la discussione sul lavoro giovanile oggi». Non ha dubbi Luca Diotallevi, notissimo sociologo associato all’Università di RomaTre e vicepresidente del Comitato scientifico delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
Prende il via con un’analisi coraggiosa e, per molti versi inedita, la prima delle quattro serate promosse da Famiglia Cristiana, in collaborazione con il Settore per la Vita sociale della diocesi, il Centro Internazionale Studi Famiglia e altre articolazioni ecclesiali. Portano il loro saluto il direttore del settimanale don Antonio Sciortino, il vicario episcopale di settore monsignor Eros Monti e Francesco Belletti, direttore del Cisf.
Iniziano così i “Lunedì in Famiglia” che, mensilmente fino a maggio, presso l’Auditorium “Don Giacomo Alberione”, hanno come obiettivo la preparazione al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, coniugando la questione familiare con alcune criticità attuali. Subito di scena, e non potrebbe forse essere altrimenti, la crisi economica e le ricadute, specie sui giovani, del lavoro che non c’è. «Il posto di lavoro è un bene che va prodotto, che arriva se un’azienda crea le condizioni per sopravvivere sul mercato. Non tutto – tantomeno l’impiego – può essere un diritto garantito per legge o dallo Stato», spiega Diotallevi.
Insomma la vexata questio non cambia: occorre porre i giovani al centro di una nuova modalità di intendere la loro formazione e le prospettive future, ma deve mutare il contesto nel quale inserire una valutazione seria e condivisa della condizione giovanile a livello nazionale. «Un scuola che non educa, che ha timore di sanzionare, che non riesce a esercitare l’autorità, non può assicurare nessun domani. Anche l’eccesso di “familismo”, non aiuta», aggiunge il sociologo.
Coma uscirne? Con lo strumento privilegiato della concretezza a ogni livello. E se le due testimonianze-interviste video proiettate all’incontro – una realizzata con una giovane laureata ventottenne munita di dottorato di ricerca che si autodefinisce «iperprecaria» e l’altra con una coppia di coniugi con tre figlia a carico, entrambi licenziati e in presidio alla Lares di Paderno Dugnano -, sono parse mettere in una luce più sfumata o, se si vuole, più accorata, l’analisi di Diotallevi, non vi è dubbio che l’approfondimento di alcuni dati statistici Cisf e Istat abbiano delineato il quadro di una vera e propria emergenza giovanile. Oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni definiti Neet (Not in education, employement or training), ossia “inattivi”, in sostanza fuori da qualsiasi attività, con un’incidenza che nel Sud arriva al 30%. Una disoccupazione che raggiunge quasi, a sua volta, il 30%, tra i quindici-ventiquattrenni, per non parlare della grave differenza di gender, del genere maschile-femminile, con una marcata mortificazione delle donne, specie se giovani e del Sud.
Eppure, proprio in un’ottica cristiana, non si sono dimenticati anche aspetti di speranza vissuta, come la bella storia di Annachiara e Gennaro, sposi da ottobre. «In casa nostra non abbiamo certo molti mobili e mancano ancora le porte – raccontano con un sorriso -, ma abbiamo voluto sposarci comunque perché crediamo profondamente nel nostro amore che ha la sua radice in quello comune per il Signore». Il loro è un sogno che si è avverato grazie al Progetto Policoro – Annachiara ne è consulente per la sua diocesi – voluto dalla Cei per il meridione dopo il III Congresso ecclesiale di Palermo e offre oggi ragioni e tante sicurezze in più. Progetto che dal 1995 promuove, partendo anche da piccolissime realizzazioni, strumenti e opportunità di solidarietà e reciprocità, lavorando in rete ormai in sette Regioni italiane. Manca la Lombardia e, forse, emerge dal dibattito, la serata è occasione anche per esportare al Nord, anch’esso in crisi, il modello.