Aprire centri per la richiesta d'asilo vicino ai Paesi d’origine: questa la proposta del ministro degli Esteri Moavero Milanesi. Pedroni (Somaschi): «Spesso a provocare l’esodo è lo sfruttamento operato proprio dall’Europa». Gualzetti (Caritas): «Per sconfiggere il traffico di esseri umani bisogna riaprire i flussi con numeri certi». Pasta (Sant’Egidio): «Prevedere vie d'accesso legali per i migranti economici»
di Claudio
URBANO
Non suscita particolari sorprese tra chi, da anni, lavora per l’integrazione dei migranti, la proposta lanciata qualche giorno fa sulle colonne del Corriere della Sera dal ministro degli Esteri Moavero Milanesi: aprire alcuni hotspot europei, centri per la verifica dei richiedenti asilo direttamente in Africa, il più vicino possibile ai Paesi d’origine dei flussi migratori.
La proposta, sul tavolo anche nel vertice tra otto Paesi europei (Italia, Grecia, Spagna, Malta, Germania, Francia, Bulgaria e Austria), non è del resto nuova. Anzi, «aprire centri per la richiesta d’asilo è legittimo e di fatto in Libia o in Serbia ci sono già», nota Valerio Pedroni, responsabile delle relazioni istituzionali dei Padri Somaschi, che gestiscono diverse strutture d’accoglienza tra il Comasco e il Milanese, occupandosi non solo di profughi, ma anche di vittime di tratta. «Ma è chiaro che ogni proposta va considerata nel momento storico in cui viene fatta; e questa, ora, ci sembra pericolosa – puntualizza Stefano Pasta della Comunità di Sant’Egidio di Milano – È senza dubbio positivo aprire centri in Paesi terzi, ma a condizione che questo non voglia dire smettere di salvare vite nel Mediterraneo». Pedroni continua sulla stessa linea. «Spostare questi centri a ridosso dei Paesi di origine è una soluzione interessante se si punta a sistematizzare e ampliare i corridoi umanitari, dando la possibilità alle persone a rischio di evitare la via crucis del viaggio e la trafila dell’accoglienza in Italia. Se il tema è bloccare alla radice le migrazioni, allora bisogna essere consapevoli che, a fianco del tema delle guerre e delle persecuzioni, c’è anche quello della povertà e della miseria, una situazione che in Africa non è slegata da politiche secolari di sfruttamento operate dall’Occidente e dai Paesi europei. Mettere centri che fermino l’immigrazione da Paesi che sono depredati dall’Europa è una grande ipocrisia».
Nell’intervista al Corriere lo stesso ministro Moavero riconosce la condizione di debolezza dei migranti, spiegando che si dovrebbe «informare meglio chi parte per ragioni economiche su cosa lo aspetta durante il viaggio: avvertire degli abusi, dei rischi gravi, della difficoltà di trovare un lavoro degno». Una necessità, questa, che non trova impreparata la Chiesa. Lo sottolinea Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana: «In tutti i paesi dove la Caritas opera, lavoriamo perché i poveri non debbano ricorrere all’estrema soluzione della migrazione». Da Gualzetti arriva poi un richiamo al realismo, per considerare il tema della migrazione nella sua complessità e al di là di soluzioni di carattere politico: «Un mondo in cui le persone che scappano non sono costrette a farlo perché le aiutiamo a casa loro, oppure dove i Paesi di transito rispettano i loro diritti, o ancora, da noi, un sistema di accoglienza che non faccia acqua da tutte le parti, non c’è. La politica dell’Europa di erigere muri ci si ritorce contro, perché i flussi migratori inevitabilmente avvengono. Anche per sconfiggere il traffico di esseri umani bisogna affrontare in modo razionale il problema, riaprendo i flussi con numeri certi, come per esempio ha fatto la Germania, anche guardando alle esigenze (sul lungo periodo) dell’economia italiana». Gualzetti sottolinea ancora il tema della tutela dei migranti, che sarebbe difficilmente garantita negli hotspot realizzati nei Paesi africani: «Anche rispondendo a un’odiosa distinzione tra migranti economici e profughi, su quale base si riconoscerebbero i diritti a questi ultimi, in una situazione in cui facilmente non viene garantita la legalità, o la possibilità di dimostrare la propria condizione?».
«I corridoi umanitari che Sant’Egidio, con le Chiese evangeliche e valdesi e la Cei, ha aperto dal 2016 sono una prima risposta – ricorda Pasta -. Con questi, applicando la procedura europea dei visti già nei Paesi d’origine, abbiamo spinto i governi europei a fare ciò che già era possibile, aprendo vie legali per chi ne ha diritto. Ciò non toglie che, ormai a cinque anni dall’inizio di questo nuovo flusso di migrazione, vadano corrette le disfunzioni del sistema. Evitare le barche della morte è un primo punto, ma vanno anche previste vie d’accesso legali per i migranti economici, perché la loro assenza è una disfunzione del sistema italiano».