Matteo Lucchetti, direttore operativo di Cyber 4.0, commenta la vicenda che ha coinvolto nel mondo oltre 2 mila server, ma con pochi danni in Italia

di Giovanna Pasqualin Traversa
Agensir

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Foto Ansa / Sir

«Questo ultimo attacco hacker al nostro Paese non è stato particolarmente impattante rispetto al problema che poteva creare»: lo dice Matteo Lucchetti, direttore operativo di Cyber 4.0, il Centro di competenza nazionale ad alta specializzazione sulla cybersecurity promosso dal Ministero dello Sviluppo economico, commentando l’attacco ransomware globale che nei giorni scorsi ha colpito nel mondo oltre 2 mila server, ma facendo pochi danni in Italia.

«Mi chiedo – prosegue l’esperto – come la notizia possa avere avuto tanto clamore. In realtà si tratta di una vulnerabilità a livello mondiale già nota da tempo. I sistemi che sono stati infettati non erano stati aggiornati negli ultimi due anni». Per quanto riguarda il nostro Paese, anche la richiesta di riscatto per sbloccare i dati criptati dal ransomware – circa 40 mila euro – «appare irrisoria rispetto alle richieste di diversi milioni di attacchi più gravi». A livello italiano, spiega, «sono stati infettati una ventina di server di cui il più critico è probabilmente quello dell’Università di Napoli; gli altri sono provider minori». E il contemporaneo disservizio di Tim, «di tutt’altra natura», chiarisce Lucchetti, «è un evento totalmente scorrelato, ma è forse il motivo per il quale questo attacco hacker ha destato tanto allarme». Un attacco, conclude l’esperto, «molto più contenuto e contenibile di molti altri subiti in precedenza. Quello della scorsa settimana in Acea (l’azienda romana per l’energia, il gas e l’acqua, ndr), per esempio, è molto più serio, molto più impattante e sarà molto più lungo da gestire».

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