Il neopresidente della Consulta nazionale anti usura illustra gli effetti della pandemia sulle fasce più fragili e indifese, auspicando la crescita del sostegno alle Fondazioni territoriali e dell’integrazione con le Caritas diocesane: «Bisogna reagire tutti insieme»
di Francesco
CHIAVARINI
«La pandemia da Covid 19 ha imposto trasformazioni negli stili di vita delle persone e nell’economia che hanno amplificato e moltiplicato le povertà, creando tutte le condizioni favorevoli per la diffusione dell’usura da criminalità comune e organizzata. Sono cambiati i bisogni, le fragilità e le richieste intercettate, a cui dovranno per forza seguire dei mutamenti negli interventi e nelle prassi operative di chi opera per contrastare questo fenomeno». A sostenerlo è il direttore della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, recentemente eletto presidente della Consulta nazionale anti usura, l’organo che coordina l’attività delle fondazioni di matrice cattolica impegnate nel sostegno delle famiglie indebitate.
Gualzetti, quali effetti ha prodotto la pandemia sul fenomeno dell’usura?
Prima della pandemia, la Consulta antiusura, aveva “contato” circa 2 milioni di famiglie in sovraindebitamento (cioè debiti non rifondibili a condizioni ordinarie) e altre 5 milioni appena “soprasoglia”, cioè in equilibrio precario tra reddito disponibile e debiti “ordinari”. È evidente che queste quantità di riferimento (almeno 6 milioni di famiglie pressate dall’insolvenza, oggi) vanno considerate con realismo per misure illuminate: procedure effettive e giuste di esdebitamento; nuove chances da offrire per ottenere reddito familiare; iniziative di comunità per rilanciare le produzioni e il lavoro nei territori.
Con quali strumenti intervenire?
C’è bisogno di un maggiore coinvolgimento e sostegno delle 32 Fondazioni antiusura territoriali. È importante inoltre proseguire il processo di integrazione con le Caritas diocesane, per essere più incisivi sui territori e non lasciare spazi non presidiati a chi del prestito a usura fa una ragione di profitto illecito sulla pelle delle persone più fragili e indifese.
Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi sul fronte sociale?
Non è ancora chiaro quando questa emergenza – che non è solo sanitaria, ma anche economica e sociale -, terminerà, né come sarà il futuro che ci aspetta. Sono in aumento le difficoltà finanziarie legate alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito, al pagamento di affitto o mutuo, a cui si aggiungono quelle delle persone con impiego irregolare fermo a causa della pandemia, dei lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione, dei lavoratori autonomi o stagionali in attesa del bonus 600/800 euro, dei pensionati. In questi mesi molto è stato fatto, ma c’è bisogno di rispondere in modo più forte alle necessità delle persone.
Di che cosa c’è bisogno?
Di un New Deal, un nuovo corso: la crisi è sofferenza delle persone e, dunque, trattare la sofferenza delle persone è il criterio ordinatore delle scelte. Occorre una politica economica collegata con una politica sociale: come seppero realizzare le classi dirigenti della Ricostruzione postbellica. Ma accanto a chi è schiacciato dalle mancanze (e spesso non ha chances di denunciarle in pubblico) vi è però anche chi ha trovato nuove opportunità per accrescere ricchezza a potere. Le crisi infatti mandano in miseria strati della popolazione e, per contro, generano concentrazione di patrimoni: per espropriazione di chi è bersagliato dai rigori del mutamento improvviso, in peggio, dell’economia, del lavoro, della finanza pubblica. L’usura e la speculazione delinquenziale sono incentivate dalla tragedia interna e internazionale. Bisogna reagire tutti insieme.