Una manifestazione trionfale per i colori azzurri, che certifica l’evoluzione incredibile del movimento sportivo paralimpico
di Massimo
Lavena
Sono finiti anche i XVI Giochi Paralimpici di Tokyo 2020. Il lungo periodo sportivo giapponese è terminato ieri con una manifestazione trionfale per i colori azzurri. Le 69 medaglie conquistate dagli atleti italiani (14 ori, 29 argenti e 26 bronzi) certificano una evoluzione incredibile del movimento sportivo paralimpico, con i molti piazzamenti giunti dai 115 atleti – di cui 69 esordienti – che rappresentano quel 15% di popolazione italiana composto da “persone con disabilità”.
«Prima delle paralimpiadi di Londra 2012 la percentuale delle persone con disabilità che praticavano sport in Italia si aggirava a poco più dell’1,5%, oggi questa percentuale sta raggiungendo il 10%. In 9 anni, da quando i media hanno scoperto la bellezza e il valore dello sport paralimpico, nonché l’elevato interesse da parte degli shares televisivi, l’offerta sportiva è nettamente migliorata: tutto questo anche grazie alla scelta governative di riconoscere il Comitato italiano paralimpico (Cip) come ente pubblico e quindi dotarlo delle necessarie risorse economiche, all’interno del bilancio dello Stato», dichiara al Sir Sandrino Porru, presidente della Fispes (Federazione Italiana degli sport paralimpici e sperimentali), che cura nel novero del Cip l’atletica, il calcio amputati, il calcio con atleti cerebrolesi e il rugby in carrozzina.
Secondo Porru, atleta paralimpico ai Giochi di Seoul ’88 e Barcellona ’92, «questo primo passo ha permesso al Cip di organizzarsi in modo più peculiare rispetto alle singole discipline sportive promosse, delegando alle Federazioni sportive nazionali già riconosciute dal Coni, laddove possibile, la parte paralimpica delle discipline già di loro competenza e costituendo le Federazioni sportive paralimpiche per quelle discipline per le quali i tempi non siano maturi per le deleghe: ad esempio l’atletica, il nuoto, il basket in carrozzina, le discipline praticate dai ciechi e dai sordi e dalle persone con disabilità intellettiva relazionale». Questa esperienza «ha portato a una crescita esponenziale dei praticanti per quanto ancora molto bassa rispetto a coloro che potrebbero avvicinarsi alla pratica sportiva».
Ma, secondo Porru, se i presupposti di crescita esistono e sono elevati, al contempo «si debbono fare i conti su diversi aspetti culturali e delle infrastrutture sportive esistenti e/o mancanti. L’impiantistica sportiva è decisamente scarsa e di livello qualitativo scadente per poi riscontrare, scendendo verso il sud, che in alcuni territori sono addirittura inesistenti. Inoltre, sull’esistente si riscontrano spesso importanti problemi di accessibilità. Da questi aspetti, generati usualmente da una insensibilità governata dall’ignoranza, deriva la necessità di ampliare sempre più quel processo di rivoluzione culturale che il paralimpismo propone in modo dirompente, al di là della pratica sportiva». Per il presidente della Fispes bisogna «porre al centro dell’attenzione l’abilità della persona rispetto a quanto si ritiene fare, nello sport e nella vita. Ritengo che, oggi più che mai, si debba dare una particolare attenzione ai bambini ed alle loro famiglie che credo possano essere il motore propulsore più importante per promuovere una consona offerta sportiva a questa fascia sociale, oggi poco presente, e, in particolare, favorire una nuova cultura sociale partendo dalle nuove generazioni».
I grandi successi di Tokyo, suggellati dalla fantastica tripletta Sabatini – Caironi – Contrafatto nei 100 metri categoria t63 (amputate) esaltano la bontà del percorso intrapreso dal mondo paralimpico italiano: «L’Italia, a dispetto di quanti continuano a disprezzare il nostro Paese rispetto ad altre realtà d’oltralpe, nell’ambito paralimpico è sicuramente all’avanguardia – conferma Porru -. Sono diversi i Paesi stranieri che vengono a studiare il nostro modello organizzativo, sbalorditi dall’importante livello istituzionale raggiunto e gli indiscussi successi in termini di risultati sportivi, di numero di praticanti, di visibilità e di crescita culturale. Dimostrazione di parte di ciò è data, anche, dal riconoscimento della pari dignità tra atleti olimpici e paralimpici all’interno dei gruppi sportivi militari. Da oggi, cosa impensabile nel passato, sarà possibile anche per gli atleti paralimpici essere arruolati, all’interno dei corpi militari, al termine della loro carriera sportiva, svolta in seno ai loro Gruppi Sportivi, dando la giusta prospettiva lavorativa anche a coloro che, nonostante convivano con una condizione di disabilità, hanno parimenti rappresentato il nostro paese in tutte le competizioni nazionali e internazionali».
Anche i rapporti del Cip con la scuola, il Miur in particolare, progrediscono con molti protocolli d’intesa per l’organizzazione dei giochi sportivi studenteschi, di attività ludico ricreative sportive da offrire ai ragazzi, anche in modo congiunto tra coloro che vivono o no una condizione di disabilità. Importante, secondo Porru è il settore dei centri di riabilitazione, «realtà nella quale è nato lo stesso movimento paralimpico nel periodo post bellico, con i quali, attraverso le professionalità dei nostri organismi territoriali, proponiamo ai ragazzi neo traumatizzati attività ludiche sportive, che si affiancano ai loro percorsi riabilitatiti, per aiutarli a migliorare ed affinare le loro capacità residue».
L’immenso lavoro fatto dalla Rai in questi dieci giorni di gare a Tokyo, secondo Porru, «farà aumentare notevolmente le persone che vorranno avvicinarsi al paralimpismo e noi faremo di tutto per essere pronti ad accoglierli e a costruire insieme altre avventurose imprese sportive e sociali». Se la disabilità è stata culturalmente assimilata come sinonimo di incapacità e pertanto relegandola, con rassegnazione, ad un mero peso sociale da sopportare e supportarla con l’assistenzialismo, spesso fine a se stesso, per Sandrino Porru «il paralimpismo, attraverso lo sport, ha dimostrato al mondo che tutti possiamo fare tutto ma tutti in modo diverso ed esclusivo. Questo ha fatto innamorare il mondo. Le cerimonie d’apertura e di chiusura delle paralimpiadi di Tokyo sono state svolte e interpretate solo ed esclusivamente da persone con disabilità e se non fossero stati i telecronisti a evidenziare questo aspetto, molti degli attori sarebbero passati sotto gli occhi degli spettatori senza alcun pregiudizio e con totale accettazione della loro normalità. Questo è il miracolo del paralimpismo che, da movimento sportivo, deve diventare sempre più stereotipo sociale capace di meravigliarsi delle abilità e dei talenti di ciascuno, per metterli a beneficio di tutti ed a costruzione del bene comune. Non sarà più possibile parlare di immigrati, extracomunitari, disabili, gender, vecchi, donne, uomini ma solo di “Persona”. Richiamando uno dei motti del paralimpismo italiano, questo è davvero andare OltremodOltre».