Molti governi sono ripiegati su una concezione ristretta dei propri interessi, incapaci di elaborare progetti di ampia portata orientati al bene comune e di convergere su posizioni negoziate
Stefano
COSTALLI
La riunione del G7 a Taormina si è chiusa sabato 27 maggio con diverse tensioni, pochi frutti concreti e una spolverata di immancabile retorica nei comunicati ufficiali. Queste le componenti di un risultato complessivo di scarso rilievo e ampiamente previsto. Dunque non si può neppure parlare di vera delusione e sicuramente non di un lavoro insufficiente da parte del governo italiano. Certo, il nostro attuale governo, sia a causa della sua composizione che per il fatto di non sapere se riuscirà a superare l’autunno non era il più adatto a prendere per mano il vertice e a guidarlo verso una meta chiara, ma anche se così fosse stato probabilmente non avremmo ottenuto molto di più.
L’atteggiamento insofferente del presidente Trump ha segnato ogni momento della riunione di Taormina, sia nella forma che nella sostanza. Trump è allergico a ogni sorta di rituale, negoziazione e discussione in cui non possa imporre il proprio punto di vista e la propria volontà in tempi rapidi. Dal punto di vista del cerimoniale lo si è notato dallo scarso interesse con cui ha seguito i lavori, dal gelo nei confronti della Cancelliera Merkel e dalla decisione di annullare la conferenza stampa alla fine del vertice. Sul piano ben più importante dei contenuti, la spaccatura fra l’attuale Amministrazione americana e gli altri partecipanti si è resa sui temi del cambiamento climatico globale e delle politiche energetiche. Nella dichiarazione si legge infatti testualmente che gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro posizione sull’Accordo di Parigi e che quindi non sono in grado di unirsi agli altri sei governi esprimendo una posizione unitaria. Tensioni si sono avute anche sul commercio internazionale, dove le tentazioni protezionistiche di Trump hanno trovato parziale sponda in Theresa May.
Tuttavia, anche laddove l’iconoclasta Trump non ha esercitato direttamente il suo peso e la sua contrarietà alle opinioni altrui, il vertice non è riuscito a lanciare segnali decisi. I Grandi prendono atto del fatto che le crescenti diseguaglianze rappresentano un serio problema per il mondo contemporaneo, ma su questo piano non si spingono molto oltre il riconoscimento della situazione esistente. Per quanto riguarda il problema delle migrazioni, si ribadiscono i diritti dei rifugiati e dei migranti, ma anche quelli degli Stati a proteggere i propri confini e a elaborare politiche che perseguano gli interessi nazionali. Si auspica che i rifugiati possano essere aiutati il più vicino possibile alle aree da cui fuggono, ma non si delineano iniziative concrete se non delle imprecisate partnership con i Paesi di provenienza.
Anche sui temi legati alla sicurezza internazionale il bilancio non è molto migliore, seppure qualche posizione più risoluta si è registrata. Ad esempio, il G7 dichiara di reputare la Russia il principale responsabile della situazione in Ucraina, di considerare l’annessione della Crimea illegittima e di aspettarsi da Putin un atteggiamento più collaborativo al fine di risolvere il conflitto. Trump, sotto assedio in patria per i rapporti con il governo russo, non ha potuto opporsi e anzi ha continuato la linea di allontanamento da Putin che ultimamente sta perseguendo, proprio nel tentativo di fronteggiare i problemi interni. I governi del G7 si sono anche dichiarati disponibili a lavorare con la Russia a una soluzione per la crisi siriana, mentre il coinvolgimento dell’Iran rimane sullo sfondo. Il regime di Teheran è menzionato solo come uno degli attori in grado di usare il proprio peso per far cessare le ostilità. Anche in questo caso la nuova linea di Washington deve aver pesato.
Il nostro governo ha sottolineato l’importanza della dichiarazione sulla lotta al terrorismo, ma purtroppo anche in questo ambito i risultati non sono esaltanti. Nella dichiarazione gli Stati si impegnano a cooperare fattivamente per combattere il terrorismo e il fenomeno dei foreign fighters attraverso azioni comuni di intelligence e uno scambio costante di informazioni, ma si tratta semplicemente di ciò che è necessario in un contesto come quello attuale, senza considerare che la lotta interna al governo americano sta creando tensioni con i servizi segreti di alcuni Paesi alleati.
In sintesi, mancavano le basi perché da Taormina uscisse qualche risultato notevole. Molti governi sono ripiegati su una concezione ristretta dei propri interessi, incapaci di elaborare progetti di ampia portata orientati al bene comune e di convergere su posizioni negoziate. Si fa pressante la ricerca di un fondamento diverso della politica per uscire dalla paralisi e dalla frammentazione.