La denuncia di mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”. Un piano di azione no-slot portato avanti con altre associazioni

di Gigliola ALFARO

Slot mob

Nel 2016 si è battuto un nuovo record per il gioco d’azzardo nel nostro Paese: «L’anno scorso – ricorda mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II” – gli italiani hanno giocato 95 miliardi di euro. Sono 7,9 miliardi al mese, 260 milioni al giorno, quasi 11 milioni l’ora, 181 mila euro al minuto: cioè il 4,7 per cento del nostro Pil. È come se ogni persona, neonati compresi, avesse puntato e magari perso 1.583 euro». Una cifra che ha registrato un aumento di 7 miliardi, l’8% in più, rispetto agli 88 miliardi spesi nel 2015.

Adesso Governo ed enti locali stanno battagliando sul riordino del gioco d’azzardo sul territorio, che punta a un forte taglio del numero delle slot, ma, al tempo stesso, limita le possibilità di intervento degli enti locali in particolare sulle distanze delle sale dai luoghi sensibili (scuole, oratori, luoghi di culto, impianti sportivi). «Le pressioni della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II” tramite la stampa e alcuni rappresentanti delle istituzioni nazionali, delle Regioni e dei Comuni – spiega mons. D’Urso – sono riuscite nell’intento di frenare un accordo subdolo in sede di Conferenza unificata sulla regolamentazione del gioco d’azzardo, dagli effetti devastanti per la tutela della salute, dell’ordine pubblico del nostro Paese. L’impostazione del documento è a tutto vantaggio delle lobby dell’azzardo. Era un accordo che non si poteva concludere senza sentire le associazioni che sul campo quotidianamente si occupano di contrastare l’azzardo, quale causa principale di sovraindebitamento e di usura delle famiglie italiane».

La Consulta nazionale antiusura e il Cartello “Insieme contro l’azzardo”, racconta D’Urso, in un incontro avvenuto martedì scorso, ha presentato al sottosegretario all’Economia, con delega sui “giochi”, Pier Paolo Baretta, un documento con «osservazioni critiche inderogabili» alla bozza governativa.

Attilio Simeone, coordinatore del Cartello “Insieme contro l’azzardo”, spiega: «Nell’attuale bozza lo Stato mira a togliere alla criminalità organizzata la gestione dell’azzardo pubblico, ma la quasi totalità delle indagini denuncia l’intreccio indissolubile tra offerta di azzardo legale e relativa gestione delle sale, nonché delle apparecchiature, da parte della criminalità».

«Abbiamo accolto con sincera disponibilità l’invito del Governo, tramite il sottosegretario Baretta, a esporre le valutazioni delle Fondazioni antiusura e delle associazioni aderenti al Cartello “Insieme contro l’azzardo” circa il testo di accordo sulla regolamentazione delle slot-machine – afferma D’Urso -. Bisogna ora orientarsi verso il rigoroso rispetto della legge delega, poiché vi sono interessi preminenti da tutelare: garantire la sicurezza per la tutela della salute dei cittadini e della pubblica fede dei giocatori e prevenire il rischio di accesso dei minori di età».

«Circa il 50% delle vittime di usura che si rivolgono alle 28 Fondazioni antiusura operanti sul territorio nazionale finiscono nei guai per colpa dell’azzardo – ricorda D’Urso -. Il legame tra usura, azzardo e mafie è più stretto di quanto si possa immaginare. Purtroppo, le denunce sono di gran lunga inferiori al numero delle vittime sotto lo schiaffo dell’usura. Il fenomeno si alimenta di omertà e paura». L’azzardo è un fenomeno pericoloso. «I minori – sottolinea il presidente della Consulta – sono i più fragili rispetto alla dipendenza: secondo una ricerca curata nel 2015 dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, l’8% dei giovani che giocano d’azzardo ha già comportamenti problematici. E l’11% è a rischio patologia. I giovani giocano dappertutto: bar e tabaccherie (35%), sale scommesse (28%), il computer di casa (19%). E, nonostante la legge lo vieti, il 38% dei minorenni ha giocato d’azzardo durante l’ultimo anno. Molti di loro sono ancora bambini: l’8% dei piccoli tra i 7 e gli 11 anni scommette soldi in Internet».

Non solo: «Giocano d’azzardo il 47% degli italiani indigenti e il 56% delle persone appartenenti al ceto medio basso. E il 47,1% degli studenti tra i 15 e i 19 anni: oltre un milione e 200 mila ragazzi». Si tratta di una “trappola” trasversale, dice Simeone, che «riguarda tutti, dai laureati all’operaio». E, aggiunge: «Non esiste il concetto di gioco responsabile: alla base non c’è una scelta consapevole. Il soggetto, attraverso la pubblicità ingannevole, viene “precettato” nel vortice della patologia». Perciò, osserva Simeone, «lo Stato non può, da una parte, mettere a disposizione dei soldi per combattere l’usura e, dall’altra, incentivarla attraverso il gioco d’azzardo. È un’ipocrisia».

Sono quattro i punti di un piano d’azione no-slot portato avanti dalla Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II” con le associazioni aderenti al Cartello “Insieme contro l’azzardo”: innanzitutto, «occorre stabilire un divieto di pubblicità all’azzardo». Se poi «allo Stato spetta il compito di dettare regole e limiti inderogabili all’azzardo, si deve continuare a riconoscere agli enti locali la possibilità di introdurre ulteriori e più forti argini alla presenza e ai tempi dell’azzardo nei territori di loro competenza». Inoltre, «lo Stato deve farsi carico della cura dei giocatori d’azzardo patologici, riconoscendo e rendendo fruibili i Lea (ndr Livelli essenziali assistenza del Ministero della salute)». Infine, «bisogna imboccare la via di una gestione delle attività legate all’azzardo nell’ottica della tutela della salute pubblica, della promozione di un’economia di comunione, introducendo una moratoria per nuovi giochi d’azzardo».

«Non si può pensare a una ripresa economica, se la gente, ammalandosi di azzardopatia, perde il lavoro, non paga le bollette e le rate dei mutui della casa. Bisogna creare opportunità di lavoro che diano luce e speranza per il futuro. Le macchinette mangiasoldi rubano invece la dignità e la speranza», denuncia D’Urso.

«Il lavoro da fare interpella tutti – conclude Simeone -, perché c’è bisogno di coraggio e di un impegno nella verità. Il primo atto è cambiare la cultura».

Ti potrebbero interessare anche: