Un fenomeno registrato sia alle prove di maturità, sia a quelle di licenza media, anche grazie ad ausili elettronici e digitali. Un riflessione sulla necessità di “giocare pulito”
di Alberto CAMPOLEONI
Chi si è fermato ai santi e ai navigatori bisogna che si aggiorni, Gli italiani sembrano diventati, infatti, più che altro un popolo di “copioni”. Questo, almeno, a giudicare dal gran battage su copiature e maturità – ma anche esami di terza media – che intasa i mezzi di comunicazione soprattutto online.
Primo problema: l’attenzione preventiva. Nell’avvicinarsi del tempo d’esame ecco che il tema “copiature” è diventato un must. Forse per le disposizioni restrittive particolarmente severe a proposito di smartphone e supporti elettronici che “fanno notizia”, ma francamente è parso un po’ sbilanciato il focus continuo su come e quanto copiano/copieranno i ragazzi italiani all’esame di maturità. Come se fosse il problema principale. Esploso, poi, naturalmente, durante i giorni di prova. E se – ecco un retropensiero un po’ maligno – invece che un’attenzione fosse una distrazione? Un modo, cioè, per puntare i riflettori su qualcosa di “quasi ameno”, mentre in realtà la scuola italiana sta attraversando un passaggio molto delicato in acque tutt’altro che tranquille, con una riforma in arrivo che stenta e sulla quale c’è chi invoca “resistenza, resistenza, resistenza”.
Secondo problema: il buco della serratura. L’attenzione sui “copioni” – con i sondaggi quasi morbosi che riferiscono quanti e come hanno copiato alle prove scritte, quanti hanno consegnato o meno i famigerati smartphone ai commissari inquisitori – somiglia alla curiosità morbosa di chi guarda dallo spioncino, per cogliere in fallo il prossimo suo nei momenti in cui non si sente osservato. Solo che sembrerebbe esserci una predisposizione a farsi osservare, cioè una sorta di esibizionismo nel farsi cogliere, appunto, con le mani nella marmellata. Essere “copioni” sembra diventare quasi un vanto, un successo, un vezzo à la page nel Paese dei furbetti.
Terzo problema: la preoccupazione. La questione si fa più seria se dovessimo considerare come buoni i dati che qualcuno pubblica, per cui addirittura il 22% degli studenti alle prese con gli esami di Stato ha dichiarato che avrebbe copiato grazie all’ausilio di un dispositivo elettronico. O che – nel caso degli esami di terza media – 2 studenti su 5 avrebbero copiato durante le prove Invalsi. I dati vengono da sondaggi dei quali l’attendibilità non è, per così dire, a prova di bomba. Però circolano, con enfasi. E la preoccupazione è relativa al fatto che se davvero, al termine di un percorso scolastico più o meno lungo – alla fine delle medie o addirittura delle superiori -, per così tanti ragazzi e ragazze l’obiettivo diventa imbrogliare (perché copiare è sempre un imbroglio) – questo stesso percorso scolastico mostra qualche falla importante.
La preoccupazione va al di là del mondo della scuola, e considera, tra l’altro, che proprio la scuola non è un mondo a parte, ma inserita in un contesto generale che talvolta non invita a “giocare pulito”. E la questione si estende al mondo intero dell’educazione, che comincia considerando le famiglie. Si dovrebbe partire infatti da qui a “respirare” il gusto della lealtà piuttosto che il sapore acre del farcela a tutti i costi, dell’arrivare primi anche a scapito degli altri. Si dovrebbe partire dalle famiglie e la scuola ci dovrebbe mettere del suo per “educare alla cittadinanza”, come si dice. Senza dimenticare le responsabilità di tante altre agenzie educative. Responsabilità che il popolo di “copioni” – da prendere peraltro con tutte le pinze del caso – richiama all’attenzione. E su questa vale la pena di concentrarsi.