È l’esperienza che da marzo stanno conducendo trenta detenuti. Gualzetti: «La strada è questa, aumentiamo il ricorso alle pene alternative e ai benefici. E a chi non può uscire, offriamo la didattica a distanza»
Da marzo sono trenta i carcerati che stanno scontando gli ultimi mesi di pena negli appartamenti e nelle strutture messi a disposizione dalla Caritas Ambrosiana per contribuire ad alleggerire gli istituti penitenziari, il cui sovraffollamento già questa primavera era risultato incompatibile con la gestione della pandemia. I detenuti, provenienti dalle carceri di San Vittore, Opera, Bollate, Lecco, Varese, Busto Arsizio, sono stati indicati dal Magistrato di Sorveglianza, tra coloro che sarebbero stati esclusi da questi benefici perché sprovvisti di una propria abitazione. Negli alloggi individuati dalla Caritas, grazie alla collaborazione della Diocesi di Milano, (tre appartamenti a Milano, uno a Varese e l’ex casa del clero Villa Aldé a Lecco) gli ospiti sono sottoposti alle misure di tutela previste dall’Uepe (l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna): continuano dunque a essere soggetti a restrizioni della loro libertà personale e ai controlli di polizia.
«Le persone che abbiamo accolto sono molto grate dell’opportunità che hanno avuto e stanno vivendo questo periodo difficile con una maggiore serenità di quella che avrebbero avuto stando in cella, pur rimanendo a tutti gli effetti dei detenuti. Ci dicono che proprio in questi mesi hanno avuto occasione di riflettere su quello che hanno fatto, segno evidente che questa è la strada che le istituzioni devono intraprendere se vogliono riabilitare le persone e non solo affrontare la cronica debolezza del nostro sistema penitenziario che la crisi sanitaria ha solo acuito», sottolinea il direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti, mentre in questi giorni si moltiplicano le iniziative per tentare di ridurre ulteriormente i reclusi nelle carceri il cui numero è tornato di nuovo sopra i livelli di guardia: dagli emendamenti al Decreto Ristori per favorire il ricorso agli arresti domiciliari alla liberazione anticipata speciale che alzerebbe da 45 a 75 giorni a semestre lo sconto di pena, già previsto dall’ordinamento, per i casi di buona condotta.
«Ben vengano tutte le iniziative che in questi giorni sono state avanzate tanto dalla politica quanto dalla società civile per affrontare il sovraffollamento delle carceri giunto oltre i limiti compatibili con la gestione della pandemia in corso. Occorre moltiplicare gli sforzi da parte delle istituzioni per assicurare che quelle misure, in parte già previste dal codice, possano essere applicate effettivamente anche a chi si trova in maggiore difficoltà. Noi siamo pronti a fare la nostra parte», sottolinea Gualzetti.
Tuttavia, a preoccupare il direttore della Caritas Ambrosiana in questi giorni non è solo il numero eccessivo di detenuti, ma anche la qualità della vita di chi è recluso.
«Oggi per ragioni di tutela della salute, in Lombardia i volontari non possono più entrare nei penitenziari, con rarissime eccezioni. Comprendiamo queste preoccupazioni. Tuttavia, invitiamo con forza le autorità a trovare le modalità che consentano, anche in questo momento molto difficile, lo svolgimento della attività di risocializzazione, a cominciare dalla scuola, valutando lo passibilità di offrire ai detenuti la didattica a distanza».