Forzatamente costretti in montagna durante la pandemia, hanno trascorso il lockdown in una relativa serenità che richiama quel proverbio lombardo: «C’è più tempo che vita»

di nonna IRMA

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Mentre il virus raggiungeva in modo drammatico la Lombardia, mio marito e io, con la nostra nipotina Lucia (quattro anni e mezzo), all’oscuro di tutto trascorrevamo il fine settimana nella nostra piccola casetta in Valcamonica. Solo a fine giornata, davanti al televisore, abbiamo appreso la “grande notizia” della chiusura totale di alcuni paesi e il divieto di spostamento dalle varie località al mare/montagna per far ritorno alla casa di città. Panico… «Che cosa facciamo? Certamente sarà per pochi giorni, quindi prolunghiamo la vacanza in montagna!».

Nei primi giorni è stata una vera vacanza, soprattutto per Lucia, che al mattino al suo risveglio si catapultava nel lettone dei nonni in cerca di coccole. Lo stupore della nevicata abbondante, le risate di Lucia nel formare il pupazzo di neve con la carota che non voleva stare al posto del naso… Tutto sommato il tempo trascorreva sereno!

Poi la situazione in generale si è fatta gradualmente più seria, diventando una vera pandemia. Noi ci sentivamo “costretti” a rimanere in montagna. La diffusione del virus aveva conseguenze sempre più minacciose: anche mia figlia Chiara (mamma di Lucia) ha dovuto forzatamente lavorare da casa, proprio per evitare il contagio diretto. Quindi, con le dovute precauzioni e con sicurezza, ci ha raggiunto in montagna per rimanere accanto a Lucia, lavorando durante la giornata.

Mio marito e io eravamo molto preoccupati per gli altri famigliari rimasti a Novate Milanese: l’altra nostra figlia, lavorando in ospedale, è stata contagiata ed è quindi stata costretta in quarantena a casa, con il “pericolo” di contagiare il marito e i figli, anche loro a casa per studio e lavoro a distanza.

Questo “virus”, che imparavamo a conoscere meglio, si diffondeva senza sosta, creando situazioni veramente serie. Però intorno a noi tutto mitigava questa gravità: forse l’ambiente, forse la montagna innevata, forse la presenza di Lucia, le sue risate, la sua gioia, il tempo che mi impegnava per insegnarle a scrivere il suo nome, per insegnare le preghiere del mattino e della sera: «Gesù Bambino, stammi vicino, dammi la mano, ricordati dei bimbi ammalati, falli guarire presto». Poi il racconto di una storia nuova e infine il bacio della buonanotte ai nonni. Ci sembrava di vivere la nostra giornata fuori dal mondo, in una bolla di sapone, dove continuavano le nostre giornate al riparo di tutto quanto stava avvenendo, soprattutto lontano dalla paura di essere contagiati e ammalarci.

Solo più tardi abbiamo dovuto riconoscere che i giorni diventavano settimane ed erano trascorsi quasi due mesi. Abbiamo visto sciogliersi la neve e notato che gradualmente la natura si risvegliava, con i primi boccioli di fiori e le primule che si affacciavano nei prati: era molto bello stare sul balcone con Lucia in silenzio ad ascoltare il cinguettio degli uccellini, e infine poter andare nel bosco e correre liberi a giocare tra gli alberi a nascondino.

In conclusione, il tempo e la vita durante questo periodo di pandemia sono stati vissuti in modo utile e armonioso. Per noi nonni e per Lucia possiamo dire che è stato un dono di Dio.

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