Delusione per una linea politica che riduce il matrimonio a fatto privato. Il commento di Francesco Belletti, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari e direttore del Cisf
Giovedì 23 febbraio la proposta di legge sul divorzio breve ha ricevuto il suo primo via libera dalla Commissione Giustizia della Camera. A Francesco Belletti, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari e direttore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia), abbiamo chiesto un commento, anche alla luce degli ultimi dati Istat su separazioni e divorzi (2009).
Il divorzio breve è un provvedimento di cui si sente bisogno in Italia?
Fondamentalmente a me sembra una resa al fatto che la coppia sia totalmente sola di fronte alle difficoltà di gestione della sua vita. La legge del 1970 prevedeva che ai coniugi fosse proposta una riflessione per ripensare alla separazione. L’idea che una decisione sia da subito radicale dice che la famiglia è abbandonata, è sola. Ed è anche una sfida per i servizi oggi. Abbiamo costruito un buon sistema per aiutare le coppie a separarsi civilmente, ma di fatto c’è pochissimo sostegno alle coppie in crisi, per evitare che una fragilità, una difficoltà, un conflitto divengano, anche per decisioni affrettate, la scelta di uscire da un progetto di famiglia. Come se la tenuta del legame di coppia non fosse un valore forte per tutta la società. La delusione è vedere un Parlamento che vuole gettare la spugna e dire che questa scelta è totalmente privata.
Questo modo di vedere riflette l’individualismo sempre più imperante?
L’idea che si possa fare prossimità alla coppia anche nelle difficoltà è una sfida per i consultori e per tutto il sistema dei servizi socio-sanitari. La privatizzazione della famiglia genera anche una politica fiscale che non custodisce la famiglia come bene della società e politiche del lavoro che non si preoccupano della conciliazione tra famiglia e lavoro. Mettere la famiglia nel privato non è ampliare la libertà della famiglia, ma ampliare la sua solitudine. Quello di cui abbiamo bisogno, invece, è una nuova alleanza tra famiglia e società, anche su una scelta qual è il legame di coppia. Se poi aggiungiamo il tema della presenza dei figli viene fuori l’assenza di una cura del benessere sociale dei minori. Tutto ciò porta a una deriva di individualismo e di privatizzazione del bene famiglia e del bene coppia. Infatti, non farei distinzione tra relazione di coppia e tenuta della famiglia. È vero che è in gioco il progetto di vita tra un marito e una moglie, ma c’è in gioco anche il posto della famiglia nella nostra società.
Dando uno sguardo agli ultimi dati Istat su separazioni e divorzi, si vede che dal 2008 al 2009 l’aumento delle prime è stato del 2,1% e dei secondi dell’0,2%, molto meno che tra il 2007 e il 2008 (3,4% per le separazioni e 7,3% per i divorzi). Allora, perché questa insistenza sul divorzio breve?
Sicuramente è una scelta ideologica, apparentemente legata all’alleggerimento dei carichi burocratici, ma di fatto questo provvedimento e purtroppo tutto il lavoro della Commissione parte dal presupposto che non ci sia una trattabilità della situazione. Invece, secondo me, ciò che va riaffermato è che anche le fragilità e le difficoltà di relazione dentro la coppia possano essere sostenute da un intervento dall’esterno. È come riaffermare che anche il legame di coppia è un bene pubblico.
Secondo i dati Istat, nel 2009 le libere unioni hanno rappresentato solo il 5,9% delle coppie…
Di fatto la maggior parte delle persone nel nostro Paese vive dentro a progetti familiari compiuti, con un matrimonio di riferimento. Purtroppo la narrazione sulla famiglia in Italia si concentra sulle situazioni di difficoltà, sui percorsi accidentati, che sono ancora pochi. Certo, c’è una difficoltà del fare famiglia e del matrimonio, ma non corrisponde al sentire comune né al dato sulla maggioranza della condizione di vita degli italiani. Purtroppo la tutela di condizioni di minoranza ha uno spazio molto più grande rispetto alla normale fatica di vita quotidiana dei milioni di famiglie che restano insieme ed educano i propri figli.
Quanto pesa l’influsso dei media, in particolare di quelle fiction che mostrano famiglie sfasciate?
Le fiction, soprattutto quelle italiane, hanno rappresentato negli ultimi 10/15 anni un familiare plurale che condiziona l’atteggiamento delle persone verso la famiglia. Sembra che tutto sia possibile e, attraverso la mediazione dello schermo, sembrano belle situazioni che sono spesso difficili e complicate. Purtroppo questo martellamento mediatico è uno degli ostacoli alla tenuta della famiglia nel nostro Paese. Quando la famiglia accende la televisione, è molto difficile che trovi un amico dall’altra parte dello schermo”.
Qual è la sfida che viene per il Forum da questa ipotesi, più vicina, di divorzio breve?
Innanzitutto ricordare che c’è un pezzo d’Italia che non condivide assolutamente questa scelta anche dal punto di vista normativo e riaffermare le ragioni del modello precedente. Un secondo passaggio sarà chiedere anche a livello regionale e dei servizi che si costruiscano progetti di prevenzione e di promozione della famiglia. Dobbiamo smettere d’intervenire solo quando si sono rotti tutti i pezzi, ma fare interventi di sostegno, dal fisco ai servizi socio-sanitari, dagli interventi di prossimità alle politiche per la casa, che aiutino le famiglie a stare insieme.