I diritti di cittadinanza alla base delle politiche sociali

a cura di Riccardo BENOTTI

«Lo sviluppo, se non è accompagnato da una politica di welfare, tende a essere disgregante». Ne è convinto Agostino D’Ercole, presidente dell’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), che riflette sulle politiche sociali indirizzate al mondo della disabilità in un momento di grave crisi economica.

La spesa sociale è una voce di bilancio che, in tempi di crisi, subisce spesso i tagli più significativi…
Non si può pensare di sviluppare il Paese se non si punta a un rafforzamento del welfare con investimenti su capitale umano, coesione sociale e capacità di promuovere le buone pratiche all’interno di un sistema “cannibale” che tende a generare sempre maggiore marginalità. Come Terzo settore, stiamo portando avanti l’idea della crescita del welfare come prerequisito per la crescita dell’Italia. Non si deve aspettare di avere le risorse per garantire i diritti la cui tutela favorisce la crescita e non è un costo, se correttamente interpretata. Si tratta di una questione semplice e, allo stesso tempo, drammatica. I fondi nazionali sono trasferimenti economici ai Comuni, dunque servizi per i cittadini la cui spesa si attesta allo 0,42% del Pil. Nel 2007 la somma di tutti i fondi sociali ammontava a circa 1,5 miliardi di euro. Da qui al 2013, si prevede una riduzione a circa 144 milioni di euro con una diminuzione di oltre dieci volte. Per esempio, il fondo per le politiche sociali passerà da 1 miliardo nel 2007, a 45 milioni nel 2013.

Quali conseguenze potrà avere l’azzeramento del Fondo per la non autosufficienza?
I numeri danno la dimensione della situazione. Il Fondo per la non autosufficienza che voleva essere uno sforzo per aiutare le famiglie, vero soggetto di assistenza per le persone disabili o anziane con difficoltà, a tre anni dalla sua istituzione è stato azzerato. È un problema devastante perché ricade sulle scelte delle Regioni. Qualsiasi politica che abbia un senso, oggi, deve mantenere almeno il livello di assistenza attuale. E solo questo obiettivo sembra essere già straordinario perché i Comuni e le Regioni non sono in grado di garantirlo, con ricaduta sulle famiglie e delega alle associazioni di volontariato e promozione sociale chiamate a farsi carico di un impegno forse improprio ma che tendono a svolgere per missione. Da una recente indagine del Censis, alla quale ha partecipato l’Aism, è emerso che la famiglia è il perno su cui regge l’assistenza anche per le persone in gravi condizioni. E qui non parliamo di politiche per la vita indipendente ma della semplice possibilità di vivere dignitosamente nel proprio alloggio. Spesso sono le associazioni che fanno da surroga nei confronti del servizio pubblico.

Dal suo osservatorio, quali sono i principali ostacoli che incontrano le persone con disabilità e le loro famiglie?
Anzitutto la riduzione dell’assistenza a domicilio, per le persone in condizioni gravi e gravissime. Quindi il venire meno della possibilità di ridurre l’isolamento perché tutti i servizi di trasporto sono, in genere, a carico del pubblico. La decurtazione dei fondi per il trasporto comporta un isolamento maggiore e questo è un grave problema. L’assistenza e i servizi alla persona tendono poi a ridursi e il corredo della politica sanitaria, come la riabilitazione, diventa un’ulteriore difficoltà. Tra i vari azzeramenti, c’è anche quello degli incentivi all’inserimento lavorativo. Il percorso della legge 68/99 è di fatto svuotato senza stimoli economici e tutte le persone con disabilità, nel momento in cui si affacciano alla vita produttiva, avranno ancora maggiori difficoltà di accesso.

La ridefinizione del nuovo Isee, prevista dal decreto “Salva Italia” e successivo emendamento, rischia di mettere in discussione il diritto di accesso all’assistenza? Non si corre il rischio che i diritti vengano interpretati come privilegi?
La sensazione è che il governo non voglia fare cassa sulla disabilità. Tutto dipenderà, però, dalle risorse disponibili. L’indennità di accompagnamento è un tentativo, di basso profilo, per riportare le persone in condizioni di pari opportunità e non avrebbe né senso né logica ricondurla al reddito. In alcuni casi, infatti, potrebbe convenire paradossalmente essere assistiti piuttosto che produrre lavoro. Bisogna definire, invece, i diritti di cittadinanza. Soltanto allora, in un contesto che rimuove la disuguaglianza determinata dalla disabilità, avrebbe senso pensare all’introduzione dell’Isee e, per questo, è richiesto uno sforzo in nome dell’equità. È importante, inoltre, utilizzare degli strumenti flessibili perché il mondo della disabilità presenta profili diversi.

Quale ascolto trovano da parte della politica le richieste delle associazioni che, come l’Aism, operano quotidianamente al fianco delle persone con disabilità?
Da parte del governo c’è disponibilità e ascolto, nell’ambito dei limiti di cassa, sebbene si pongano interrogativi su cosa sia possibile fare. Comuni e Regioni, invece, da un lato, colgono la necessità della tenuta del blocco sociale e le esigenze del mondo della disabilità ma, dall’altro, la mancanza di risorse è talmente cogente che non sono in grado di rispondere. Si manifesta così una difficoltà estrema di programmazione per i prossimi due anni e la delega dell’assistenza al volontariato diffuso, con il rischio che alcune zone del Paese restino scoperte e si aggravi il divario tra Nord e Sud.

Ti potrebbero interessare anche: